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Fino a Dogali

Chapter 8 [Niccolò Macchiavelli]

Word Count: 6936    |    Released on: 04/12/2017

lle in mano e guardandomi con quella sua aria intelligente e curiosa. Quindi senza darmi tempo di cominciare una qual

vita vi è esplorata collo scandaglio, commentata colla finezza di un avvocato e qualche volta colla penetrazione di un romanziere: il disegno dei tempi, nei qual

più concisa per esprimere il tumulto di tutte le a

ta dell'opera del Villari? Mi pare di aver sempr

o escl

e ne s

ividuo. Il Taine, ben più potente del Villari, nella storia della letteratura inglese, servendosi dello stesso metodo, ha fallito in faccia a Shakespeare tentando di ricostruirlo. Ricostruire, ecco il motto della scuola positivista; Michelet invece aveva detto: la storia è una resurrezione. Hai l

bbe che il

opravvenuto deviando l

mi ha chi

N

cr

mme

hiavelli! ha soggiunto pigliando dal tavolo lo stesso volume preso da Berti. Sentiamo, s

isposto barattando u

opportabile ci possa consolare dell'averli ascoltati tutte due. Dimmi tu, piuttosto, che cosa pensi del Macchiavelli. Io non l'ho mai letto, ma l'ho visto nel mio viaggio a Firenz

uesta domanda com

Fossa sorridendo al sorriso degli amici, coi q

risposto in due parol

di più se ogni fat

filoso

e avrebbe d

G

el Memoriale Sant'Elena

un periodo di mol

lo leggerò mai; non amm

sa pensi tu de

r potertel

penso nulla e non ne posso parlare af

e le fiamme brillino da tre mesi nel caminetto, la camera non è molto calda e gli amici debbono a ogni visita far crocchio intorno al fuoco. Io seguiva coll'

a Fossa rimasto ultimo colla maniglia

da che al mio ritorno mi dovrai una risposta; ti concedo di restare a

ggito r

natura umana? Che cosa vi è di vero nella parola macchiavellismo per Macchiavelli? Quale fu il suo pensiero nel pensiero del suo secolo, nello spirito della storia? Ha egli meritato l'iscrizione ampollosamente semplice che in Santa Croce lo dice superior

to che vale poco meno dell'epitaffio fattogli dal Ferroni, o

siero non ne fu giudicato grande, la forma perfetta. Solo il Principe colpì lo spirito del pubblico, e mantenendovisi come nello spasimo di un problema, parve salvare da una probabile dimenticanza il nome di Macchiavelli. I pochi contemporanei amici del

uali l'anima è rimasta nella storia mondiale. Poichè la politica è il motore e l'involucro della vita sociale, ognuno sentì il bisogno di decidersi in faccia al problema del Principe. Ma il suo concetto era vero nella politica umana? Il gov

ro tutti, decideva dell'onore dell'umanità: il Principe la dichi

del Principe, benchè la vittoria de

la più larga e più alta degli Stati nazionali. La Spagna aveva già compito la propria unificazione, l'opera di Luigi XI in Francia era già sicura, Lutero preparava colla Riforma la grande costituzione d

o, palladio e tiranno della sua vita più ampia che nei regni recentemente riuniti, più florida che nei comuni meglio dotati, più duratura che nelle stesse monarchie destinate a prendere il posto delle repubbliche. La Romagna, la Marca e l'Umbria lacerate dagli ultimi feudatari conniventi o contrastanti coi papi vivevano nella miseria e nei massacri. Milano dopo il dramma astuto e infelice del Moro si accorgeva di non avere ormai più signore indig

lo d'Europa. La Spagna sbarcata a Napoli sconfiggendovi gli ultimi Angioini e sovrapponendo la propria dominazione alla loro, vi aveva fondato una monarchia, la quale malgrado l'ostacolo di Roma immobile e invincibile nel mezzo d'Italia, non rinunciava alla brama di allargarsi in reame italiano. Al nord di Genova tra le Alpi, alla testa di mo

annullarsi, i suoi istinti e le sue necessità di regno lo costringevano a maggiori contraddizioni e a più inintelligibili mostruosità. Talvolta il pontefice non era che il re di Roma, usufruttuario di un regno per lui intangibile come un fidecommesso; tal'a

o cominciato; l'erudizione aveva disseppellito pressochè tutto il mondo classico e cominciava ad intenderlo; Colombo scopriva l'America, Copernico dava il moto alla terra, Lutero la liber

nata di una tragedia sul Golgota, sembrava finire in un carnevale che era un'altra tragedia per l'Italia e per la coscienza umana. La filosofia ospitata dalla religione nella bufera del medio evo n'era tuttavia la serva: San Tomaso guidato da Aristotile la signoreggiava; la scienza, senza vero passato, non accennava ancora a un sicuro avvenire. Però Coperni

gli assassinii erano ancora frequenti e i grandi condottieri usciti dalla scuola braccesca e forzesca quasi finiti. I venturieri esteri avevano già preso il sopravvento. Nessuna figura di princip

tica Grecia illuminava capolavori che avrebbero fatto dubitare di sè stessa la coscienza greca. I fieri feudatari mutati ora in pomposi signori riunivano la ferocia della barbarie alla crudeltà della decadenza, mentre il popolo, piuttosto cliente che vassallo, pa

pesava sopra ognuno di essi di non potere unificare l'Italia nè fondersi con altre nazioni; Dante, Michelangelo e Colombo, ecco le glorie e le ragioni

apriva l'avvenire: tutto il mondo si accodava a questi tre italiani. L'Italia, pale

na che nelle proprie contraddizioni meglio riflettè

lo a ventinove anni aveva già compito parecchi capolavori, Macchiavelli invece, non distintosi in Firenze tutta piena d'ingegni, che fra un cerchio abbastanza ristretto d'amici, ottenne a stento fra quattro concorrenti l'ufficio di segretario col titolo di cancelliere della seconda cancelleria del comune. Il

ello Stato. Firenze divisa fra le parti pallesca e piagnone viveva di ringhii; i nobili quasi tutti nemici della repubblica o nemici dei Medici solo per rivalità; la plebe delle piccol

del comune, sempre pronto alla minaccia e a quietarsi per danaro, Ferrara preda agognata da tutti e quindi pomo di discordia, Pisa ribelle e guerreggiata, Alessandro Borgia a Roma,

condizione

ugnava. Non si mostrò ambizioso nel profondo senso della parola, e non lo era: non parve a nessuno uomo vero di parte, si accontentava di essere usato osservando intorno a sè le cose e gli uomini. Non aveva che una passione, la politica. Let

o già decadente. I negozi politici attiravano tutta la sua attenzione snodandogli lo spirito; ma per sè stesso non faceva nulla. Eccellente impiegato, arguto nella conversazione e sagace nelle pratiche, era senza passioni: non si prescelse un partito, non aspirava a comando. Preparare un disegno, scoprirne un altro, calcolar

ive allo spendere e senza forti parentadi, avrebbe presto dovuto comprendere che per salire davvero bisognava attaccarsi a qualcuno che fosse al potere o stesse per giungervi, servendolo da

tiva come un gentiluomo, l'altro si lasciava spesso andare a modi e vizii plebei: entrambi osservatori eccellenti. Nel primo il calcolo personale vegliava sempre, e una equazione involontaria del proprio interesse con ogni avvenimento o disegno si fo

ralisti veri. La sua passione suprema è l'analisi, il suo trionfo la formula: un caso per lui non è bello se non perchè è un problema, non è utile se non perchè sciolto pu

lvagi, non vi trovava più nulla di anormale, e Macchiavelli li accetta. Il mondo andava così. Ma il cinquecento era, e si vide bene nelle arti, una reazione del realismo sul misticismo, nella quale la realtà diventava la sola verità. Politicamente l'unico ideale possibile era la gloria del proprio Comune, e Macch

gl'individui per natura malvagi possono mutare sè stessi fondendo il proprio nel suo interesse generale. Ma in lui questa conclusione derivava piuttosto da un

, quando scrisse per commissione del cardinale Clemente le storie; e s'abbandonava alla spontaneità d

colezza della sua condizione che lo impediva allora, non crebbe mai abbastanza per la sti

rlì nella biblioteca, battè il giovane e forse presuntuoso diplomatico, che in una lettera dovette confessare, e questa è una prova di forza, di essere stato tenuto a bada per otto giorni senza nulla indo

à sorridere più di un dotto; nullameno, dall'attento esame delle opere d

ontro, giacchè nel ritratto è vivo e vi guarda e pensa. Ero solo in una delle immense sale della pinacoteca Borghese: l'aria era umida e la luce si velava. Una figura pallida attirò il mio sguardo da una parete. Sembrava staccarsene ed inoltrare. Avevo in mano la tabella dei nomi

ffascina. Un pallore che forse il tempo ha dato al quadro gl'imbianca tutto il volto immobile in un pensiero che rende più grande l'abituale superbia dei lineamenti: la fronte s'aggronda sugli occhi ma liscia e impenetrabile quanto il marmo, il naso leggermente arcuato fa pensare a quello di Napoleone

a tutto fu il personaggio più complesso del suo secolo. Suo padre, Alessandro VI, era uomo di molto ingegno e politico non volgare, per quanto i vizii d

prendeva le arti, viveva nella politica. Giovane capì subito i vizii di quella del padre e si affrettò a giovarsi del suo pontificato per costituirsi un regno. Essendogli fallito il matrimonio di Milano colla principessa Carlotta, il suo occhio di uomo di Stato non lo rese dubbio nella scelta: la Romagna sola, sempre agogna

relazioni; la tirannia straniera poteva aprir l'adito a tutti i disegni preparando con eguale facilità l'apoteosi e la decapitazione. L'Italia era inerme. Per la troppo frequente sovrapposizione dei domimii barbari e la loro fugacità e la mistura che ne era risultata, il popolo sempre servo da secoli non era stato armato: la forma della feudalità italiana, per essere l'impero lontano e il papato suo nemico presente, non aveva potuto prodursi veramente militare come al nord de

a tutto; egli solo aveva il monopolio del coraggio e della forza, e riunendo tutti i problemi della diffidenza universale poteva ad ogni istante essere l'arbitro di tutti. Principi che non volevano armare nè il popolo nè la nobiltà, repubbliche sempre in sospetto di una dittatura militare, aristocrazie gelose della popolarità di un loro vincitore, tutti reciprocamente disarmati avevano dovuto reciprocamente accettare il condottiero. Allora sulla volontaria umiliazione di tutti, questi si eresse gigante. La scur

carciofo non fu vera, basta alla gloria, del Valentino che gli sia attribuita. Ma incalcolabilmente superiore ai condottieri del tempo, che dagli splendori di Francesco Sforza e di Niccolò Piccinino precipitavano all'ultima decadenza, egli fu un politico profondo come i migliori veneziani, ef

tti, quel figlio di papa gittato nella tormenta della politica d'allora senz'altro appoggio che quello precario del pontefice, e nullameno così forte da pretendere a un regno; parato ad ogni fine, capace d'ogni mezzo, gran signore, impenetrabile, romantico al punto da mescolare imprese galanti a tragedie di guerra, non obbliandosi mai: sobrio e dissoluto, spezzando impassibile i proprii migliori strumenti come Don Ramiro appen

o ne spira; mentre il suo disprezzo per Vitellozzo e Oliverotto, che non sanno coraggiosamente morire, rivela più

iconfermando nella necessità dei mezzi da lui adoperati. Lo studio di Roma antica colla sua virtù pura

politico, la ricostituzione dell'Italia mediante la costituzione di una milizia nazionale. Poi fu mandato a Siena incontro al Cardinale di Santa Croce legato del papa all'imperatore Massimiliano, che minacciava di scendere in Italia a cíngere la corona imperiale. L'incarico del Machiavelli era d'indovinare possibilmente dal legato quale

I Fiorentini che non potevano pagare così grossa somma, temevano di nega

erno. L'orgoglio fiorentino protestò; fu mandato il Vettori. Il Macchiavelli non era dunque arrivato, dopo parecchi anni di ufficio, questi che doveva passare ai posteri per

ttori solamente doveva giudicare se presentabile o meno. Dalle lettere del Macchiavelli risulta che quel tenere a bada l'imperatore dilazionando il pagamento, gli pareva

Foscolo e sull'Alfieri, giudicò, cedendo al fascino del patriottismo, questo rapporto del Macchiavelli come un capolavoro di analisi sul governo tedesco e sull'imperatore; mentre il Mundt con più fine accorgimento vi notò l'influenza della Germania di Tacito; fra i secondi il Villari facile ad ammirare il Macchiavelli, deve pur confessare che le relazioni dell'am

il Governo per lo Stato, isolando le forme politiche dalle grandi ragioni sociali. La questione religiosa d'allora, che conteneva tutta l'odierna civiltà, gli sfugge quanto il cinquecento italiano collo immenso movimento artistico, nel quale viveva. In quel rapporto da lui parecchie volte rimaneggiato non fa alcun accenno alla storia tedesca; senza dubbio l'ignora, ma trascurandola del tutto sembra giudicarla inutile alla conoscenza del presente. Tutte le sue osservazioni sono sulla superficie; della coscienza del popolo, delle idee che compongono la sua civiltà, de' suoi bis

compita da Luigi XI: nota il Parlamento ma non l'esamina, coglie a volo la devozione e l'accentramento prodotto d

l'opera dell'illustre e sfortunato Giacomini, acquistare in Firenze una certa importanza, la quale nè durò nè crebbe. A traverso tutte le conflagrazioni italiche d'allora il governo repubblicano del Soderini si approssimava fatalmente alla morte. Infatti, dopo la battaglia di Ravenna il cardinale Giovanni de' Medici, che d

nto della sua vita, rivela il suo c

i. Voleva così ottenere da loro la riconferma nell'impiego, che invece gli fu tolto in quelle prime ore della diffidenza. La sua condotta non fu quindi nè abile nè forte: impiegato ligio al governo e senza fede ne' suoi uomini si limitò, egli che poco dopo doveva scrivere il Principe per consigliare ad un Medici l'arte d'imporsi con qualsiasi mezzo, a conservare in quel trambusto che decideva della fortuna e della vita di molti, il posto povero e inferiore di segretario; e ne

povero e sospettato. Il suo ingegno si offuscò, la sua abilità venne meno. Incapace di trovare adito ai nuovi padroni, dei quali non aveva saputo attirarsi l'attenzione nè col tradimento nè colla resistenza, ripiombava nell'oscurità e nella miseria con tutta la famiglia. Ma la sua era meno l'amarezza di una grande ambizione delusa che l'umiliazione di un gran disastro borghese. Le necessità della vita quotidiana sopratutto lo esasperavano, togliendogli di meditare un qualunque espediente per uscire di quella povertà, ora che il cardinale Giovanni diventato Leone X spiegava un fasto, c

romesso. Non già che egli avesse congiurato; il suo animo non era da tanto, ma come fautore del Governo caduto, il suo nome da quei giovani eroicamente sventati era stato scritto sopra

l vero è che quasi all'indomani, poichè la lettera è del 13 Marzo e le prime carcerazioni dei congiurati erano avvenute il 18 Febbraio, il Macchiavelli scriveva al Vettori lagnandosi del tristo accidente e scongiurandolo ancora di ottenergli qualche impiego dai Medici; il vero si è, e molto brut

mi fè p

mendo pres

ntii dire:

ano in

a pietà ver

uesti rei lacci

onde lo sciolga dai lacci, rivelano nel Macchiavelli l'uomo incapace di forti azioni e di eroici sentimenti, che piombato dalla nuova miseria in

ti, non fu di nessun partito e non se ne creò uno, cadde travolto nello sfacelo del governo come tutti i servitori che non sanno nè prevedere nè dividere nè profittare della ruina del padrone. L'attività politica non poteva avergli insegnato molto, gia

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