Fino a Dogali
tto un giorno solo; adesso sono già tre mesi che non me ne alzo, e
uando mi f
nso che la pelle mi è rimasta accaponata per tutti quei venti giorni. Mangiare non era possibile, per riscaldarsi o stordirsi il bere non bastava. Non ho potuto nè leggere nè scrivere. Gli amici venivano e ri
ra L
agnarsi che la disgrazi
possiamo restare in casa
i dispera il dubbio di rimanere a letto chissà ancora quanti mesi, e zoppo per tutta la vita. Ah! trovare un ostacolo ad ogni passo, sentire ad ogni moto la propria deformità, non poter discendere una scala, accom
rtano sembrano poco pe
ragione a questo che un'affezione di trent'anni; sono quasi suo fi
ttino, guidando lo stesso cavallo che mi aveva rovesciato, gettò u
on so bene il perchè. Era una reazione della vanità offesa dalla caduta che si cimentava contro l'oscura possibilit
le siepi davanti al mio cavallo, o sfiancando improvvisamente si cacciavano in un pagliaio o sotto un fascio di viti abbandonate ai piedi degli alberi. Qualche pettirosso balzava dal fossato sopra un paracarro guardandom
ra mi fece frustare il cavallo, che si slanc
alla vi
ite. La via Emilia in quell'ora e in quel giorno non votato ai mercati dei paesi vicini, era quasi deserta: il suo largo piano, diritto e stupendamente conservato, allora senza ghiaia, aveva un'aria di pulitezza e di abbandono che impensieriva. Ero trascorso oltre Castel Bolognese e proseguivo al passo verso Faenza. I passanti erano pochi, scarse e fievoli le voci che arrivavano dai campi. Riparati per
a ritornare nelle case, che si disponevano a
bbassai la testa e
era solenne,
nessuno passav
sino il ricordo degli astri, sulla terra bruna erano cessati tutti i colori ed i moti della vita. Una inerzia crepuscolare copriva la natura arrestandone l'infinita instancabile varietà; e la via Emilia aperta per essa da una st
o, ero
aturante ad ogni minuto, vi si era assopita nelle malinconie lagrimose degli autunni, aveva simulato di morirvi sotto il bianco lenzuolo di tutti gl'inverni. Dietro ai primi colli rugati da minimi ruscelli se ne alzavano altri più uniformi di colore, e dietro altri ancora violacei e trasparenti a certe ore, in altre rigidi ed acuti sul cielo grigio ed unito. E le stesse vette da tremill'anni attiravano lo sguardo di tutti i viandanti, mentre la
quale Ravenna, antico villaggio lacustre, aspettava nella calma della ignoranza di succedere a Roma come capitale dell'occidente. I più floridi paesi della romagna non esistevano ancora; un'acqua torbida ed inerte, tratto tratto percossa da innumeri tuffi di uccelli vallivi, evaporava lentamente al sole avvelenando nell'aria ogni alito di vita; il mare lontano, cerulo sotto l'argento delle sue spume, la chiudeva come in un immenso monile ni
furono distrutti o cacciati; la maggior parte degli altri rimasero, e quella lunga linea bianca, che li univa a Roma, li persuase ad altra vita; l'agricoltura successe alla pastorizia, il commercio raddo
e il più gran genio militare apparso nella storia, era destinata ad allacciare la naturale frontiera del Po a Roma, vertice del grande triangolo della via Flami
i individui, quante vicende s
pra traini rotolanti su cilindri o carri falcati di battaglia o bighe leggiere o plaustri dipinti trasportanti merci o masserizie, famiglie e tribù, armati ed inermi, uomini e donne; cacciati tutti dall'istinto inconscio della storia, forti, deboli, morenti e morti, tutto è passato per questa strada verso Roma e da Roma verso tutta l'Europa superiore. L'orma forcuta degli armenti vi si è calcata sull'orma di tutte le cavallerie, il passo unito delle falangi vi ha coperto le p
i aggravarsi. Gli acquazzoni sono rari, il fiotto umano incessante. Nulla può fermarlo. La cavalleria degli eserciti intoppa lungo la strada nell'asinello del contadino o nei porci del mandriano: mentre i soldati pensano alla battaglia imminente, le fanciulle che ritornano dai villaggi li guardano tra c
e. La strada è come la storia, nella quale nessuno può fermarsi. Non una parola o un'idea vi è rimasta delle infinite che si dissero o si pensarono lungo i suoi margini. I monumenti, che l'individuo s'innalza per sfuggire alla morte, sono altrove: tutte le città ne spesseggiano, ma la vita della città risulta appunto dalla sosta di tutte le vite individuali che vi si add
. Il cavallo più veloce e il pellegrino più lesto possono raggiungere e sorpassarvi chiunque vada più lento; a tutti gli stanchi i margini offrono lo stesso erboso sedile, ma non vi sono p
à ripassato vittorioso, non avrà riconosciuto quel medesimo vecchio intento a spiarlo dal medesimo posto, e non avrà certo pensato che per lui il suo passaggio nella strada era eguale a quello di ogni altro per quanto il suo arrivo a Roma potesse essere diverso, giacchè quel vecchio non avrebbe poi distinto nella piccola fossa del concime lo sterco del cavallo di Caio Mario da quello di tutti gli altri cavalli. Quel vecchio che restava e resta ancora sulla strada, giacchè la razza di quelli che vi raccolgono il concime è indistruttibile, dietro ogni viandante aspettando ciò che qualunque
ove nacquero, che quello è sempre stato uno anche quando la sua unità non era ancora passata dalla vita nella storia. Questi nomadi, pei quali la curiosità della vita altrui è la suprema ragione della propria, rappresentano il principio della eterna mutabilità. La lor
lla storia che sottomette i sudditi ai re e i re a sè medesima, ricompendia o in sè stessi la poesia dei mari e dei monti, dei campi e delle paludi, delle città e dei deserti, ma non amano che la strada nella quale sentono di essere primi. I loro mestieri mutano ad ogni stazione; la loro esperienza che ha v
, ma non arrivano e non ritornano mai. Non aspettano alcuno e nessuno li attende: non migrano perchè non intendono fermarsi, non viaggiano perchè non hanno scopo, non lavorano perchè ogni lavoro suppone un ambiente, ma guardano e girano. L'abbandono di ogni ricchezza, il dispregio di ogni posizione li rende superbi, ma la coscienza della inanità di tutti gl'impieghi umani li pers
na compagnia di gladiatori la rimonti verso il circo di Verona, per gli uccelli che cantano e pel ramarro che fischia la cosa è ben indifferente. Invano gli uomini sopraffatti da tragico senso scrutarono spesso nel volo degli uccelli o nelle viscere dei buoi il secreto delle imprese nelle quali si sentivano mortalmente attirati. Le cornacchie migranti a sera sui campi per andare a d
ta di lotta, sia Lutero che ritorna da Roma meditando la terribile rivoluzione onde incendierà tutta l'Europa, o S. Francesco d'Assisi che s'affretta verso l'abituro di un povero per compiervi un altro miracolo di amore? Che importa al falco roteante nell'aria colle ali dorate dal sole del meriggio, se lo sguardo umano che lo ammira dalla strada sia quello di Corradino di Svevia, fanciullo cacciatore di
o sguardo dell'uomo, m
ome sotto lo sguardo imbecille di tutti i loro abitatori per migliaia di anni non l'avevano scemata. Nessun grand'uomo ha mai resistito senza dolore al disconoscimento della propria grande
tta pei molti, ne ha registrati troppi perchè la memoria possa conservarne la cifra e la serie. La tragedia è una, ma le sue scene sono molteplici, i personaggi innumerevoli, e nullameno la vita è anche più ricca della storia. I suoi pic
ante fronti giovanilmente superbe alla vigilia del trionfo e della morte vi si sono alzate da Pico della Mirandola a Gastone di Foix, da Keats a Bellini? Quanti storici da Tito Livio a Gibbon, da Guicciardini a Duruy vi hanno involontariamente cercate le orme dei popoli, dei quali ricostruivano nel vasto ingegno la storia? Giano della Bella e Catilina, Andrea Doria e Nerone, San Luigi Gonzaga e Goethe, Heine e Caterina da Siena, Napoleone I e Farinello, Caio Gracco e Cosimo De' Medici, Bianca Capello e Annita Garibaldi, Alessandro VI e Mazzini, Attila e Raffaello, Ignazio di Lojola e Catone, Boezio e il connestabile di Borbone, poeti come Virgilio,
ro in un'ora, forse la riempirebbero così da impedirne
Vittorio Emanuele la percorse quattro secoli dopo, luminoso nell'apoteosi di quel torbido sogno. Shelley e Guerrazzi vi pensarono entrambi alla stessa Beatrice Cenci; Augusto Lepido e Marcantonio vi si incontrarono per dividersi il mondo; Francesca da Rimini e Galla Placidia vi hanno lasciato colla loro leggenda il canto più bello e il più fino mosaico di ogni tempo; Tasso ed Ariosto vi h
venimenti; la via Emilia, uno fra i più
talia ancora centro della civiltà mondiale. Talvolta il suo piano echeggia sotto il galoppo leggero dei Numidi alleati dei Romani, cavalieri impetuosi come il vento dei loro deserti e altrettanto mutevoli; tal'altra risuona sotto il cupo ritmo dei cavalieri Normanni tr
e di torrioni. I ladri, che l'avevano naturalmente infestata a ogni tempo, si mutarono in bande di masnadieri guidate dal signore, e le scaramuccie e i saccheggi per secoli l
toria lo racconta, ma chi rammenta tutta la storia e può dirsi passando per la strada: qui Giovanni Medici arringò le Bande Nere, o Alberigo da Barbiano insegnò le prime manovre a' suoi fanti? A qual punto d
vi hanno lasciato più traccia del fumo nell'aria, del serpe
a nulla, e
ggio che insulti col suo fulgore al tramonto del pensiero umano? La natura, nella quale creammo il regno dello spirito e alla quale imponemmo talvolta colle scienze le nostre volontà di un minu
rea circa un metro. Invano la terra rapita ai monti dai ruscelli e portata al mare dai fiumi allunga il litorale e sembra alzarsi sul mare; il mare indietreggia, ma si drizza minacciando. La scienza sospesa non osa ancora decidere, quantunque il pericolo cresca ogni giorno,
iorno sulla via Emilia come vi passaro
te, perchè destinata a discendere per sempre sotto il mare,
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