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Fino a Dogali

Chapter 5 No.5

Word Count: 5324    |    Released on: 04/12/2017

ppennino, di confidenza in confidenza la propalarono. Il vescovado ne venne istrutto e ne scrisse alla Curia fiorentina: di là il quesito andò a Roma, e non vi si risols

rse le condanne, ma insoffribili le vessazioni; tutto e tutti erano minacciati. I preti gongolanti dalla gioia dopo gli spaventi della rivoluzione infierivano; le superstizioni compresse scoppiavano quasi collo stesso impeto della rivolta liberale, mentre le lotte fratricide dei partiti sembravano preparare un'altra guerra civile fra il lutt

e ladra delle anarchie. Così almeno dicevano i diarii cattolici di allora. Ma coll'istinto del popolo, che aveva veduto la rivoluzione riassunta nella testa di Mazzini e nel cuore di Garibaldi, il papato concentrava i propri attacchi nelle loro due figure, mentre

fratricida dei rivoluzionari, che rendeva quasi credibili se no

erale; l'aristocrazia minacciata dai principii più che dalle leggi rivoluzionarie s'appoggiava alla plebe, e il clero proteggendo i privilegi dell'una e l'ozio dell'alt

, il clero aveva fatto fucilare a Bologna Ugo Bassi, usando

ndi battuto eroicamente in molte delle sue battaglie, ma frate e suddito pontificio doveva esser

o la rivoluzione già morta, una n

omprando contro di essi accuse di tradimento verso la rivoluzione, e cercando contemporaneamente di coglierli prigioni. Senonchè la maggior parte di essi avevano esulato o esulavano protetti dal popolo, che diffidente degli stessi governi cui sosteneva

riprovazione religiosa, che colpiva la repubblica romana nella coscienza dei più lo avrebbe pareggiato a tutti gli eroi di quell'assedio; non vinto e vivo e in salvo grand

ma. Gli uomini d'arme che avevano accompagnato Garibaldi dall'America, i politicanti che lo seguivano ora nell'esilio, non erano per lei colpevoli che a mezzo, giacch

stiani che dichiarando incompatibile colla religione di Cristo l'attuale costituzione pontificia, in

ssi era quindi stata una

uociuto al Papa bene al

rivoluzione, questa prostrata, e sostenuto dagli Austriaci, acconsentirebbe di buon grado ad abbandonare in Don Giovanni un suddito altrettanto nocivo nel passato che pericoloso per l'avv

i avesse ragione togliendo al Pontefice ogni diritto politico. Nulla è più sicuro ed inflessibile del buon senso popolare. Se il Papa non condannava coloro che avevano aiutato Garibaldi a cacciarlo da Roma e a dichiararlo decaduto dal trono, abdicava alla

entata da troppi dubbi esigeva una soluzione netta; forse ai più era indifferente che Don Giovanni rimanesse libero o finisse come Ugo Bas

orosi, ma impossibili a impedirsi dal Pontefice nel trambusto di un ritorno angustiato da troppe occupazioni straniere. Se la sua re

ovanni non

pera patriottica da tutti conosciuta ed apprezzata. Non un grido era sfuggito alla sua coscienza di cattolico contro il Pontefice come capo supremo della Chiesa, ma non una preghiera era salita dalle sue labbra pe

a benedizione di quel giorno ai pochi popolani che vi assistevano, ave

le acque ti

alivano invocazioni a Dio per il trionfo d

o era pe

di Roma colla universalità della storia, egli l'aveva trovata nella semplicità della propria coscienza tutta piena di una idea morale, che riuniva dominandole l'idea metafisica e l'idea storica. Senza saperlo, Don Giovanni riduceva tutta la religione a una moralità illuminata dalla r

tarle, era tutto riassunto in questa coscienza di prete, che accordava la fede più salda in Dio alla indifferenza più a

utta l'Europa, non aveva rinunciato a salvare Pio IX, se la rivoluzione

va confusamente tutto

in lui la soluzione

a direb

tac

montani avrebbero voluto l'imprigionamento e la condanna di Don Giovanni

capirlo avrebbe avuto Cristo a difenderlo contro tutti coloro che volessero rimproverarglielo. Roma, che aveva fatto decretare nel Concilio di Trento l'anatema a tutti coloro che non credessero alla necessità del potere temporale per la Chiesa, si trovava nella impossibilità di applicare la condanna: la contraddizione fra l'idea crist

problema si complicava. O Roma gli permetteva questo dissenso, e Garibaldi aveva ragione; o glielo negava e la morte invocata contro di lui, inflitta a Ciceruacchio e a Ugo Bass

ne. Era impossibile. Il potere temporale, forma storica del cristianesimo, non poteva prevalere sui dogmi essenziali; nessuna coscienza cristiana accetterebbe di non essere più tale solo per non credere alla sovranità politica del Pontefice. Già Roma aveva più volte tentato simili esperimenti e v'era sempre fallita. A ogni privilegio mondano annullato dai governi, ave

na era più for

arebbero stati più forti delle costituzioni ecclesiastiche. Roma lo sentì, e non osò affrontare Don Giovanni e non p

e in sè stesso, è infallibile decidendo sovra qualche loro punto, ma il popolo aveva da un pezzo abbandonato il papa nella sua querela di re. La stessa fuga di Pio IX da Roma al primo pericolo di guerra era stata una abdicazione,

a delle due solamente rappresentava Cristo. I re non ra

contraddicendo nell'esprimerla, che processare Don Giovanni sarebbe stato uno snebb

visi, le grandi anime si erano sempre stremate in questa lotta senza conseguire la vittoria nemmeno nel trionfo della ribellione. Il papato restava sempre più alto e più vasto dell'opera de' suoi nemici. Come l'impero romano, che i barbari non sarebbero mai riusciti ad abbattere e che il cristianesimo disciolse, perchè solo un'idea può sostituire un'idea, il papato aveva resistito a tutti gli assalti esteriori e a tutti gli schianti interni; la sua unità gerarchica sostenuta dalla unità ideale del cattolicismo vi pareva fusa; nessuna guerra lo aveva prostrato, nessun re o popolo aveva potuto soverchiarlo. Imperatori magnanimi e feroci, repubbliche inflessibili ed inespugnabili, corruzioni di clero e depravazioni di costumi, efferve

va operare nel cattolicismo questa grande rivoluzione, denunciando la falsità dell'equazione fra pontificato e papato. Filosofia, scienza, politica, arte, ne

ella forma di un suicidio, dal quale il ponti

er opera di Don

enne crescendo uno strano confuso affetto per questo prete, che gli altri preti anche disapprovandolo riverivano e che il popolo delle campagne sentiva pari a sè nella semplicità della fede, quello delle città superiore a sè nell'entusiasmo generoso della rivoluzione. I bambini lo amavano per gli uccelli che gli vedevano tutte le mattine sospendere nelle gabbie ai chiodi della piccola e grottesca facciat

ggiore divennero la prigionia e l'esilio. La prima quasi sempre evitabile col secondo. L'oppressione del governo era tutta morale, e forse per questo più dolorosa. Pio

italiano, quantunque costretto troppo spesso a contraddirlo perseguitando e calunniando i più illustri rivoluzionari, infiammava tutte quelle speranze che aveva tradito nel quarant'otto; mentre il conte di Cavour succeduto al Gioberti, di lui meno vasto e profondo, ma più prat

l novantasei contro lo stesso nemico; ma anche questa volta parve che i Bonaparte non potessero compire l'Italia. E fu bene, giacchè riconquistata e rimessa a nuovo dall'epica cortesia di un popolo straniero per quanto fratello, non avrebbe potuto riprendere la coscienza di sè medesima; mentre abbandonata a mezzo il cammino, dopo essersi con puerile sg

ttà e la più marinara repubblica de

erra

e avrebbe veduta Roma capitale d'Italia. I nuovi moderati, fanatici ammiratori di Cavour e di Vittorio Emanuele, ne sorrisero, giacchè il bigottismo appiattato in fondo ai lo

di una gloria che stentavano a comprendere, offeso quotidianamente dalle fatali viltà di una politica parlamentare, che mirava a sminuire la grandezza della sua opera per ingrandirne la monarchia di Savoia così stretta fra l'aiuto dei rivoluzionari e dei francesi da soffocarvi quasi, ebbe uno scoppio formidabile d'indignazione. I suoi garibaldini, che avevano operato per la patria più di quanto la monarchia di Savoia avesse fatto per sè medesima acce

la servile compiacenza dei popoli ancora immaturi alla libertà sulla fronte di Vittorio Emanuele. La coscienza italiana sentì

dell'ingegno, si ricordò di Don Giovanni Verità e a mezzo d

ai codardi rancori, alle insaziate cupidigie delle genti nuove necessarie a sorreggere il governo in quell'ora, e ricusando con nobile orgoglio le offerte del ministro promise non già l'opera propria, ma in nome stesso di Garibaldi, che il Generale si sarebbe un'altra v

ato, conservò sempre del Cavour una spiacevole impressione. La viltà parlamentare e l'egoismo monarchico gli si

a del Piemonte. La tradizione di Emanuele Filiberto era cessata per sempre nella casa di Savoia, ma l'astro aspettato vanitosam

cchio che guidava in carrozza i

vincitore d'Italia, che retrocedesse; e il vincitore superò le vi

i potè leggerla ne

Cesare, aveva

ndo nella sua lotta col papato le proporzioni di una battaglia italiana. Napoleone ripetè imperatore l'errore, al quale aveva troppo cooperato come membro della repubblica, rivelando nell'agonia dell'impero il secreto delle sue origini ed affrettandone la catastrofe fra l'odio della coscienza francese e il disprezzo della coscienza europea; il papato assalito ancora una volta da Garibaldi non osò chiamare il proprio popolo alle armi e invocò dalla Francia un aiuto ai mercenari, confessando così che il suo regno era una soperchieria senza di

ande giornata del P

rale, ne rimase sconcertato. Egli non capiva, e non capì forse nemmeno più tardi, che se Garibaldi avesse preso Roma, l'

impero, lasciando alla monarchia costituzionale d'Italia, lar

o quasi contemporaneamente

i Lamarmora, e allora l'anima del popolo si voltava a Garibaldi. Ma questi, che sapeva di aver ucciso il papato a Mentana, ne abbandonava le spoglie alla monarchia di Savoia incaricata dalla storia di saldare l'una all'altra tutte le membra d'Italia. Un'altra più grande idea occupava il suo spirito. Francia, Italia e Spagna, tutto il vecchio mondo latino doveva riunirsi per rattenere entro i limiti della nazionalità l'espansione del mondo tedesco, contrabilanciando in Europa il dispotismo ancora chissà per quanti anni necessario al mondo russo per sorgere

nto le due nazioni, Di

te del 20

i con La Charette e minacciando di bombardare il Vaticano. Il popolo, che sollevatosi unanime aveva spinto il governo su Roma, si agitava ancora nel medesimo oscuro senso della propria epopea moribonda. L'ultima onda del canto s'innalzava per frangersi in un supremo scroscio di battaglia, mentre la monarchia, chiusa nella secolare prudenza che le aveva permesso di pro

morte e non sarebbe certo risorto come presidente di repubblica. Infatti la morte del papato se produsse per la conquista di Roma un grande vantaggio alla dinastia, rimase e rimarrà gloria della sola democrazia; la monarchia, come principio, invece di

ttembre; l'ultima gent

a per comunicare la buona novella; usci e finestre si aprivano, i dormienti destati di soprassalto s

si divise per arrivare contemporaneamente alle tre o quattro chiese

a è

A

en

a capital

iv

ngiure quando tutto era pericolo, e promettendosi per l'avvenire una vita più alta e felice. A un tratto da vari punti squ

, che le campane scrollavano coll'im

i e dei vecchi, ne fu desto. Discese dal letto, udì rumore alla propria p

clamò spalan

anni! Rom

A

! urlarono

h.

mmossi da una gioia che non trovava parole, perchè non abbastanza limpida negli spiriti. Qualche grande cosa era crollata, qualche grande cosa incominciava. Le donne sbigottite dal rumore si mostravano appena alle finestre, più bianche nella maggiore ampiezza dei corsetti, e ascoltavano non sapendo quasi nulla, indifferenti alla enormità del caso, ma guadagnate a mano a mano dalla emozione generale, impallidendo e sorridendo. Qualche f

omaticamente l'uscio ed era caduto gin

, Rom

l momento era il riassu

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