Ricordi del 1870-71
settemb
e per le vie di Roma risuonano ancora le grida del primo entusiasmo e della prima gioia. Tutto quello che ho veduto ieri mi sembra ancora un sogno; so
to ha superato non solo l'aspettazione, ma l'immaginazione. Bisogna aver veduto per credere. Dubiterete della mia sincerità, lo prevedo; nè debbo spender parole per prevenirvi, p
o dai nuvoli del fumo che le operazioni militari erano state dirette su varii punti. Così era infatti. Il 4o corpo d'esercito operava contro la parte di cinta compresa tra porta San Lorenzo e porta Sa
icordo bene che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a porta Pia, e che i cannoni dei pontificii appostati a quella porta erano stati smontati. Si parlava di qualcuno dei nostri artiglieri ferito. Ne interrogammo parecchi che tornavano dai siti avanzati, e tutti ci dissero che i pontificii davano saggio d'una meravigliosa imperizia nel tiro, che i
ello che fecero le altre divisioni. Vi dirò della di
to si vedeva distintamente. Il fuoco dei cannoni pontificii, da quella parte, era già cessato, ma i soldati si preparavano a difendersi dai muri. A 300 o 400 metri dalla barricata due grossi pezzi della nostra artiglieria traevano contro la porta e il muro. Il contegno di quegli artiglieri era ammirabile. Non si può dire con che tranquilla disinvoltura facessero le loro manovre, a così breve distanza dal
ero a passi concitati i sei battaglioni bersaglieri della riserva; giunsero altre batterie di artiglieria; s'avanzarono altri reggimenti; vennero oltre, in mezzo alle colonne, le lettighe pei feriti. Corsi cogli altri verso la porta. I soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si sentiva più rumore di colpi; lo colonne a mano a mano entravano. Da una parte della strada si prestavano i primi soccorsi a due ufficiali di fanteria feriti; gli altri
a rimasta intatta, le statue a destra e a sinistra non avevano più testa, il suolo intorno era s
entravano rapidament
o il corpo diplomatico in grande unifo
vi e di soldati indigeni che aspettano l'ordine di ritirarsi. Giungiamo in piazza del Quirinale. Arrivano di corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini colle armi tolte agli zuavi. Giungono i prigionieri pontificii. I sei battaglioni bersaglieri della riserva, preceduti dalla folla, si dirigono rapidamente, al suono della fanfara, in piazza Colonna. Da tutte le finestre sporgono bandiere, s'agitano fazzoletti banchi, s'odono grida ed applausi. Il popolo accompag
o in un punto ora; è il grido della libertà di Roma che si sprigion
a lontano: - I
*
a occupato dagli squad
ri un giovanetto che marciò quindici giorni coi soldati. Il popolo è furente. Si corre a chiamare i bersaglieri. Due battaglioni
abola e chiamano il popolo gridando: - Il Campidoglio è libero. - La moltitudine getta un altissimo grido e si slancia con grande impeto su per la scala gigantesca; passa fra le due enormi statue di Castore e Polluce; circonda il cavallo di Marc'Aurelio; invade i corpi di guardia degli zuavi e rovescia, spezza e disperde tutto quanto vi trova di soldatesco. In pochi minuti tutto il Campidoglio è imbandierato. Il cavallo dell'imperatore romano è carico di popolani; l'imperatore tiene fra le mani una bandiera tricolore. Un reggimento di fanteria occupa la piazza. è accolto con grida di entusiasmo. La banda suona la marcia reale, migliaia di voci l'accompagnano. All'improvviso tutte le faccie si alzano verso la torre. Il popolo e i soldati ne hanno sfondata l
rifugiati gli zuavi e gli squadriglieri, son
*
Giungiamo in piazza Colonna. In mezzo alla piazza vi sono circa 300 zuavi disarmati, seduti sugli zaini, col capo basso, abbattuti e tristi. Intorno stanno schierati tre battaglioni bersaglieri. Il colonnello Pinelli e molti ufficiali guardano dalla logg
fischi del popolo; tutti gli altri sono lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo alle loro file. Ogni cittadino ne vuole uno, se lo piglia a braccetto e lo conduce a desinare. Molti si lamentano che non ce n'è abbastanza
i, soli, sono salutati con alte grida. Si festeggiano i medici, i soldati del treno, gli ufficiali dell'intendenza. Passano i generali e tutte le teste si scoprono - Viva gli ufficiali italiani! - è il grido che risuona da un capo all'altro del Corso. In piazza San Carlo un drappello di carabinieri reali è ricevuto con indicibile festa. Da tutte le strade laterali al Corso continuamente affluisce popolo. Non v'è più gruppo di cittadini che non abbia con sè un soldato. Li osservano da capo a piedi, gli tolgono di mano le armi, gli parlano tenendogli le mani sulle spalle, stringendogli le braccia, guardandoli negli occhi cogli occhi scintillanti di gioia. - Viva i nostri liberatori! - si grida. Davanti
te qui, in mezzo alla fronte, e pare che faccia vacillare la ragione; si direbbe che è un sogno; non si può quasi credere agli occhi; è una felicità che soverchia le forze del cuore. Roma! si esclama. - Siamo a Roma? Quando ci siam venuti? Come? Che è accaduto? - Il ricordo di quello che è accaduto è già confuso come se fosse d'un tempo remoto. è un'emozione che opprime. Ad ogni strada, ad ogni piazza in cui s'entri, l'occhio gira intorno meravigliato, e il sangue dà un tuffo. Avanti, di meraviglia in meraviglia, di palpito in palpito, a misura che
arata da migliaia di fiaccole. Drappelli di signore a due a due passano tenendo in mano dei cerini accesi, che fanno vedere il loro seno coperto di coccarde, di sciarpe, di nastri tricolori. Sulla superficie di codesto mare di gente nuotano, sbattuti di qua e di là, cappelli di bersaglieri, keppì, berretti, canne di fucile a centinaia. Le signore gettano giù dalle finestre fiori e confetti ai gruppi dei soldati che tendono le mani. Da un capo all'altro della lunghissima st
blime monumento almeno i contorni. Da tanti anni ardevo di vederlo! Il cuore mi batte a precipizio. Ormai sono in un luogo deserto, non sento più una voce, non un passo; tutto è queto ed oscuro. Eccoci, mi dice il cocchiere. Io balzo in piedi, guardo, travedo un'immensa macchia nera sul cielo, e tanto è l'impeto e la dolcezza con cui i ricordi e le immagini della memoranda giornata mi assalgono tutti in un punto, che non s'arresta il mio sguardo sui meravigliosi contorni, nè ivi si può arrestare il pensiero. Sguardo e pensiero si levano più