Speranze e glorie; Le tre capitali
ice Cav
orerà; la patria patirà nuovi dolori, correrà nuovi pericoli, subirà forse altre vergogne-e le sue labbra taceranno; altri frodatori del comune avere, altri corruttori delle istituzioni patrie e profanatori del santo nome d'Italia compiranno le loro imprese, e la sua mano vindice-smascheratrice implacabile di tutti i mercanti del patriottismo-rimarrà inerte; supremi interessi nazionali si discuteranno, si combatteranno grandi battaglie politiche, care feste della patria, anniversari di giornate gloriose, conquiste e trionfi della libertà e del diritto si celebreranno in adunanze fraterne e solenni,-ed egli non v'assisterà. Felice Cav
portar con animo forte le privazioni, educato agli studi severi dal padre, dotto filologo, ch'egli aiuta nei suoi lavori; spiegheranno come nella furia delle sue prime letture di libri cavallereschi abbia avuto origine quello spirito generoso, avventuroso, battagliero, irrequieto che agitò tutta la sua vita; lo seguiranno a passo a passo, da quando, poco più che fanciullo, si mette a capo d'una dimostrazione patriottica e vaticina in un opuscolo l'unificazione della Germania, via via, per le varie tappe, soldato dì Garibaldi a Milazzo e al Volturn
a di dure lotte e di vittorie sudate, e come all'opera della creazione artistica accompagnasse l'opera erudita, critica e polemica, condotta con lunghi e pazienti studi, nel campo del teatro, della storia, della nuova poesia: opera interrotta alla sua volta da nuovi processi, da nuovi duelli, da nuove tempeste, da commemorazioni ispirate e memorande di grandi fatti e di grandi morti, e da faticose e ardimentose campagne elettorali; e come infine in mezzo alle lotte, alle cadute e ai trionfi, inteso sempre e soprattutto alla grande voce del paese, egli abbandonasse ogni cosa sua quando suonava il grido d'una sventura pubblica, e accorresse a Napoli e a Palermo a soccorrere e a confortar le vittime dell'epidemia col coraggio d'un eroe e con l'amor d'un fratello. Sì, ammirabile vita, nella quale i venturi, secondo i principii politici e l'indole loro, potranno trovare errori, violenze, temerità, disarmonie; ma non disconoscere una grande forza diretta da una coscienza onesta, da un profondo amore della patria, da un'ardente passione per la verità, per la giustizia, per il bene;-ma non rifiutarsi ad ammirar
lirico, il drammatico, l'oratore,
La successione delle sue strofe di decasillabi somiglia all'incalzarsi di manipoli di combattenti che corrono all'assalto; nelle quali le rime sono punte di spada e i tronchi finali urrà di vittoria. Ma nell'uniformità dei metri facili e sonori, quanta varietà d'ispirazioni, dall'inno alla satira, alla romanza, all'elegia, all'epigramma, ed anche quanta sincerità e freschezza giovanile di passione! L'anima affaticata dagli urti e dalle procelle, ferita qualche volta dal taglio del sarcasmo di qui si fa arma, si rifugia in sè stessa, cerca conforto negli affetti gentili e pace in fantasie e sogni di solitudine e di oblìo, e allora un nuovo poeta vi appare, d'una dolcezza e d'una delicatezza squisita, che vi tocca le più intime fibre del cuore. Ma già questo poeta voi lo indovinate anche nelle poesie di battaglia, dove a ogni tratto
l'anima sua, e darmi così l'illusione di riudir quella voce che non udrò mai più, non potrei: la commozione me li soffocherebbe nel cuore. Evochiamo una sola, la più bella forse delle sue creazioni, quella in cui più mirabilmente s'accordano l'altezza del concetto, la grandezza del disegno e l'andamento grave e solenne del ritmo che par che segni il passo di Leonida armato nel silenzio della notte. Alla mente di tu
in pace! Vano fu
salvaste l'e
resta.-No,-grida ai caduti che
o aveste! la glo
ppo dolce, mort
use, sulle onde sparse
ma non cede all'in
, cinque contro venti;
una squall
aglia d'Isso; ma proced
vincitori
o morti! Leon
no i lauri il g
io non pugnai per espiar peccati nè mossi in cerca d'avventure e di ricchezza?.
ul colle i miei
labbro e la c
ma, dove gridano il
gominatore
o passo! Troppi
fanti v'aperse
mpo di Munda, sordo all
rinfaccia il mo
la patria pugnai,
Munda, lasc
o distrasse i Teutoni; ma non s'arresta alla voce dei soldati di Mario, perchè sul sacro colle eg
, sospinto dal ricordo della pace di Cost
il sangue che val
germina, che va
o cerco, non vi
libere, tra quei
in vista di San Pietro, davanti a un'ara mo
pugnammo in cin
o patria, nè il sa
toria, ma dei fi
ròscopi, ma il
allori, ma l'ab
soldo, ma il rag
al fato, non
avelli guardand
ndo l'asta, grid
Mentana Leo
eonida, egli che alle Termopili sarebbe morto tra i primi, e che
non arriva dove fende. Chi potrebbe oggi esaminare, ponderare, discutere, mentre le creature della sua mente ci si affollano intorno velate di nero come la sua immagine, a cui fanno un corteo dolente e glorioso, come figli intorno al simulacro funerario del padre? Altro non possiamo fare che rammentarle e salutarle. E sfolgorante Raul che, levando la spada in cospetto al cadavere di Maria, grida al duca d'Alba: ?Troppo tardi. Oggi saremo in molti ai funerali. A me, pezzenti!?-è tragico il vecchio padre traditore del suo sangue che svela al figliuolo adorato la propria infamia, mentre suonano i rintocchi della campana che lo chiamano a combattere, con quelle semplici e terribili parole:-?Ferma! Io son Guido!?-è bello e generoso il giovine Scandiano che al duca di Mantova, ebbro di piacere e d'orgoglio, narra tra gli splendori della festa la fame e la disperazione del popolo di Mantova. è splendido il vecchio re di Messenia che, ritto sulle rupi, strappa la bandiera tirannica di Sparta e chiama alla rivolta il suo popolo col superbo grido:-?dove passa Aristomene, Sparta non ha bandiera!?-E pietoso e venerando è il vecchio Menecle che riprende dalle pareti lo scudo e la spada antica per chiedere alla morte per la patria l'oblio della dolce illusione perduta. E più alto di tatti, come una statua d'oro e di bronzo, segnata di mille colpì
orato dal suo sforzo medesimo, trascinato dalla passione, sprigionava un torrente di idee e d'immagini, dalle onde irruenti e sonore, e travolgeva ogni forza restìa dell'uditorio;-e l'oratore parlamentare delle grandi occasioni, che del discorso ordiva avanti la trama, nel quale le idee si svolgevano ordinate e concatenate, col corso largo e pieno d'un grande fiume, e logica, sentimento, precisione quasi scientifica di forma, tutti gli accorgimenti più fini dell'arte s'univano con l'ardore d'un'alta ispirazione, che tutto levav
le della Lunigiana e il generale di Sicilia, che, fatto da tutt'altri, avrebbe scatenato un uragano? Vi ricordate della difesa ch'egli fece del ?fiore baciato dalla sventura?, quando dal banco dei ministri era lanciato un oltraggio a una giovinetta, mentre sul capo di suo padre, accusato politico, pendeva una condanna tremenda? Vi ricordate con che dignità di sentimento e di parola egli diceva nel Parlamento l'elogio d'un avversario morto, e riconosceva d'un avversario vivo la bontà e la rettitudine, e come qualche volta, sfuggitagli una frase offensiva, la temperasse come voleva la giustizia, in modo che non era la sua una ritrattazione del pensiero, ma del sentimento, non un atto di semplice convenienza, una gentilezza sentita e squisita di cavaliere e di gala
caldi mai, n
i detti in
rò di liber
i e collegandosi logicamente come le formule successive d'un'operazione matematica, che non possa esser condotta in altra forma nè riuscire ad altro risultato da quello a cui egli tende. La punta della sua idea v'è già penetrata nella mente, credete che non vi si possa addentrare di più, ed egli ve la configge ancora più addentro con un martellamento fitto e preciso, che vince anche le ultime resistenze inconscie dell'animo vostro. Nessuna maraviglia che chi possedeva una così potente arte dialettica l'adoperasse anche quando ad altri poteva parere superflua, o inopportuna, o senza speranza di effetto utile. Ma maraviglioso è che egli vi ricorresse e l'esercitasse magistralmente anche nei momenti di maggior concitazione dell'animo, che egli ragionasse in quel modo con la
e la sua fine lacrimata e funesta serva almeno di ammonimento alla generazione che sorge. Ma come! Un passato di trent'anni di fecondo lavoro intellettuale, di nobili lotte, di servizi resi alla patria, un avvenire di forse altri trent'anni di vita egualmente benefica, un tesoro inestimabile di entusiasmo, d'eloquenza e di forza, una mente privilegiata, da cui mille quistioni altissime d'interesse pubblico attendono luce ed impulso, in cui milioni d'uomini fondano speranze di protezione e d'aiuto,-tutto questo, per una parola, deve esser messo a un cimento, nel quale un passo falso, il tradimento d'un muscolo, la svista d'un istante possono distrugger
ale.-Gli mancava la bontà dell'animo.-A Felice Cavallotti! Ah non lo pensa chi ha visto la sua fronte superba chinata al capezzale degli infermi, chi ha sentito i suoi singhiozzi disperati accanto al cadavere della sua figliuola, chi ha assistito una volta sola all'espansione della sua gioia e della sua tenerezza di fanciullo fra le braccia della vecchia madre adorata, che gli ripeteva con tanta dolcezza:-Felice, Felice mio, sii più prudente....-come se presentisse il destino. Buono era, e n'è una grande prova il fatto che molte volte, candidamente, egli si rimproverasse, si dolesse di non potere esser più buono di quello che era. Povero Cavallotti! Non è molto tempo che, rispondendo ai consigli d'un amico, egli diceva a questo con un sorriso ingenuo:-Già, tu sei più buono di me.-Ma il giudizio fu coscienziosamente respinto.-No, Cavallotti-gli fu risposto.-Io non son più buono di te; non lo sono quanto te. Facile è la bontà a chi, lontano dalla lotta, non s'espone all'offesa che lacera e avvelena l'anima e non sente in faccia l'alito violento dei nemici che, non dandoti tre
se levata, e che se quella voce non fosse rimasta senz'eco, che se la giustizia ch'ella chiedeva avesse avuto corso e compimento, non sarebbe forse stata spinta fino agli estremi la forsennata impresa dell'Africa, sarebbe forse almeno stato evitato il macello miserando che la chiuse. ?Opera negativa? fu detta la sua con la stessa logica con cui si direbbe negativa l'opera del magistrato che, accusando e condannando, toglie e non dà dei cittadini al paese, o l'opera del soldato che, difendendo la patria sul campo, uccide e non crea.-Ha varcato il segno-da altri si disse-non doveva ostinarsi e incrudelire; si deve rispetto anche ai caduti per propria colpa.-E, certo, la parola è generosa, è l'espressione d'un sacro dovere di tutti verso i caduti che si pentono e si confessano, o cedon l'armi e rimangon muti. Ma quando i caduti rialzan la fronte minacciando, si ribellano alla giustizia e alla sorte, provocano la coscienza pubblica e tentano d'
Ebbe offerte di cattedre e le rifiutò; avrebbe potuto trarre guadagni dalla sua penna feconda di pubblicista, e se ne astenne per dignità di tribuno; avrebbe potuto trarne dal teatro, solo che avesse rallentato alquanto la sua opera politica, e non lo fece per sentimento altissimo del suo dovere di cittadino. Quelle prolungate polemiche, che si dicevan mosse da spirito di ambizione e d'orgoglio, non erano soltanto per lui uno sforzo doloroso dell'animo, ma un dispendio enorme di tempo e di lavoro, ch'egli scontava poi in privazioni d'agiatezza, di libri, di svaghi desiderati. La sua spesa quotidiana era quella d'uno degli impiegati più modesti, la sua abitazione a
e pronta con innumerevoli amici, sollecitatori e postulanti ignoti, d'ogni classe e d'ogni natura, erano visite e corse da per tutto ov'egli fosse richiesto per consolare un dolore, per comporre un dissidio, per profferire una parola utile. E tra l'una e l'altra di queste infinite cure pubbliche e private egli trovava il tempo di nutrir di nuovi studi lo spirito, di raccoglier documenti intorno alle quistioni del giorno, di gittare nella forma poetica le sue gioie, le sue tristezze, i suoi sogni. Bene qualche volta si rifugiava nel suo romitorio di Dagnente per prender respiro; ma lo raggiungevano là pure, da ogni parte, i telegrammi, le lettere, le sollecitazioni d'ogni forma, e vi facevano in pochi giorni una piena che lo travolgeva e lo risospingeva al lavoro. Una voce inesorabile, appena egli chiudesse gli occhi, gli gridava:-D
verno. Si sciolgono a ogni tratto il suo spirito e la sua parola dai vincoli angusti del programma politico del presente, e si slanciano verso l'avvenire. Disse egli un giorno:-Non sento il bisogno di cambiar l'ideale-e spiegò tutto sè stesso in quelle parole. Il suo ideale abbracciava vagamente tutti i bisogni e tutte le rivendicazioni popolari dell'età nostra. S'egli non combattè che per la libertà e per la giustizia è perchè comprendeva che eran queste le prime battaglie da vincere, e reputava saggezza il non disperdere in un più largo campo le sue forze, che gli occorrevan tutte a tener alta la sua bandiera. Ma nell'anima s
ci conforta; che ciò ch'egli ci lasciò-l'esempio-nè tempo nè fortuna ci possono togliere. Esso sarà raccolto e sarà fecondo. La gioventù d'ogni parte e d'ogni fede ha qualche cosa da imparare e da imitare da lui. Egli fu soldato, tribuno, poeta, maestro; disprezzò la ricchezza, non ambì il potere, non adulò la fortuna, non s'infinse, non vendette, non mercanteggiò la sua forza,-fu buono, aperto e intrepido-fortissimo fu contro ogni forma di dolore e di pericolo, e fu potente e
e Cap
ESTA NUOV
ione Trev
i il terzo, che ha valore di documento letterario e storico insieme. L'autore, sottotenente nel 3.° Reggimento fanteria, brigata Piemonte, dopo la campagna del 1866 era stato comandato presso il Ministero della Guerra a Firenze
1898, quando l'editor
iniziare con questi t
ola Biblioteca popola
s avv
nondimeno alla pubblicazione di queste pagine perchè penso che la descrizione degli effetti intimi ed immediati prodotti da certi avvenimenti storici nell'animo d'un testimonio oculare non debba riuscire indifferente nè inutile ai giovani della generazione che quegli avvenimenti non vide; perchè l'affetto e la reverenza che sono espressi in questi scritti per le tre grandi città in cui palpitò
.
RI
Monviso, dal Monviso alle porte della val di Susa, al Gran San Bernardo, al Sempione, al Monrosa, alle ultime montagne che fuggono verso levante di là del Lago Maggiore; sotto, tutti i colli di Torino, popolati di ville e di giardini; più in là i bei poggi del Monferrato, vestiti di vigneti e coronati di castella, e le colline ubertose della sinistra del Tanaro; e oltre a queste una successione di tappeti verdi sterminati, una campagna senza fine, che si perde nelle pianure vaporose della Lombardia, argentata dalle mille curve del Po, seminata di centinaia di villaggi, rigata di strade innumerevoli, coperta d'una vegetazione lussureggiante di boschi, di verzieri e di messi, nettamente visibile in tutti i suoi rilievi infiniti fino alle più gran
inazione, di rendermi conto dell'effetto che può produrre la ci
di patria nel sangue, è impossibile che, addentrandosi nel cuore della città, serbi tanta freddezza d'animo da non giudicarla che con l'occhio dell'artista. Egli deve sentirsi sollevato, travolto da un torrente di ricordi, sfolgorato da una miriade d'immagini care e gloriose, che trasfigurino la città ai suoi occhi e gli facciano parer bella ogni cosa. Deve veder Carlo Alberto, affacciato alla loggia del palazzo reale, in atto di bandire la guerra dell'indipendenza; incontrar sotto i portici il conte Cavour, che va al Ministero, dandosi la storica fregatina di mani; vedere i Commissari austriaci del 59 che portano l'?ultimatum? al Presidente del Consiglio; i corrieri che divorano la via Nuova recando le notizie delle battaglie di Goito, di Pastrengo e di Palestro; le deputazioni dell'Italia cen
gni cosa, come un uragano di fuoco. Quale Italiano può arrivar là senza sentirsi commosso? In poche città i luoghi e i monumenti più memorabili si trovano meglio disposti per colpire tutt'insieme lo sguardo e la mente: in un giro di pochi passi, intorno al Palazzo Madama, si vede e si ricorda tutto. Ed è anche bella per l'artista e per il poeta quella piazza vastissima, che arieggia il cortile d'un palazzo smisurato. Quella reggia severa e nuda, dietro a cui s'innalza la cupola grigia della vecchia cattedrale, il Palazzo Madama, grave come una fortez
le vie si ricorda involontariamente la disciplina dell'antico esercito sardo, le antiche abitudini militari della cittadinanza, la rigidezza della burocrazia, l'onnipotenza dei regolamenti, lo stile duro dell'Alfieri, la semplicità nuda di Silvio Pellico, la correttezza un po' pedantesca d'Alberto Nota, l'andamento cadenzato e simmetrico dei lunghi periodi oratorii di Angelo Brofferio, e la chiarezza ordinata degli articoli di don Margotti, di Giacomo Dina e del dottore Bottero. S'indovina la vita della città a primo aspetto. Non c'è, come a Firenze, il piccolo crocicchio, l'angoletto, la piazzetta, dove ognuno si pare a casa sua, dove è possibile il dialogo tra la strada e la finestra e la fermata d'un'ora con le spalle alla cantonata. Qui c'è per tutto la città aperta, larga, pubblica, che vede tutto, che non si presta al crocchio, che interrompe le conversazioni intime, che dice continuamente, come il poliziotto inglese:-Circolate, lasciate passare, andate pei vostri affari.-Si può essere usciti col miglior proposito di andare a zonzo: si finisce sempre con fissarsi una meta. A un certo punto si sente un po' di sazietà; l'artista si rivolta contro quella regolarità compassata. S'ha la testa così piena di angoli retti, di parallelismi, di simmetrie, di omologie, che, per dispetto, si vorrebbe poter scompigliare tutta quella geometria con un colpo di bacchetta fatata, che mettesse Torino sottosopra. Ma a poco a poco, come certi motivi monotoni, che, a furia di sentirli ripetere, ci si fissano nel capo irresistibilmente, così quella regolarità, a grado a grado, fa forza al gusto e soggioga la fantasia. Si prende amore a quell'uniformità che lascia la mente libera, a quella specie di dignità edilizia, non ancora offesa dall'insolenza ciarlatanesca della réclame colossale, a quelle corrispondenze di prospetti che s'indovinano prima di vederli, come le rime delle strofe metastasiane, a quella nettezza rigorosa, a quei grandi lembi rettangolari di cielo che ci si stendono sul capo, e a quelle vie lunghissime in cui insensibilmente il passo s'affretta, lo sguardo s'acumina, il petto si dilata, la mente si rischiara, e a quelle grandi piazze e a quei grandi giardini che fanno qua e là un largo squarcio improvviso, pieno d'aria e di verde, nella rete uggiosa delle strade gemelle. La città sonnecchia un poco tra via di Po e via San Lazzaro, dove grandi isolati di color cupo gettano come un'ombra di tristezza nelle vie larghe e solitarie, nelle quali non si sente strepito di lavoro, e la pedata di chi passa risuona sotto le v?lte dei portoni muti e nei cortili erbosi; ma si ravviva sui confini di Borgo Nuovo, dove per sei vie allegre e chiare, piene di popolo minuto, si vede il verde fitto del Corso
chie diaboliche; e là immagini di madonne agli spigoli delle case, botteghe di barbiere col lume acceso di mezzogiorno, covi di rigattieri che paiono vani di cantine, albergucci di villaggio, con insegne grottesche, e cortiletti coperti di tettoie rustiche, ingombri di carri di mercanti di campagna, e caffè sepolcrali, che quattro avventori riempiscono. E si gira in mezzo a file di bottegucce che han tutto fuor dell'uscio fra odori di formaggi, di scarpe, d'olio, d'acciughe, in un puzzo di stantìo e di rinserrato, in una mezza luce di crepuscolo, fra un va e vieni fitto di gente affrettata che si stringe al muro per lasciar passare carri e carrette, che ingombrano tutta la strada, e si vedono fra quella gente certe figure che non si ritrovano che là: beghinette incartocciate a cui si domanderebbero i connotati di Carlo Emanuele III, droghieri vecchi come le strade, che han l'aria di aver militato contro la Spagna, mummie d'orefici secolari, a cui vien voglia di dare, passando, la notizia fresca dell'unificazione d'Italia. C'è in tutta quella parte di Torino un malumore d'antica cittaduzza fortificata, una tristezza di museo archeologico, un tal vecchiume di muri, di merci, di facce, d'esalazioni, di tinte, che vien fatto di guardarsi intorno coll'idea di veder ancora gl'Israeliti col nastro giallo al braccio o di tender l'orecchio per sentir se la campana dell'antica torre di Dora Grossa an
timento del silenzio immenso delle loro solitudini. Da ogni parte spuntano le loro cime; tutto si disegna sulla loro bianchezza; le ultime case della città sembrano fabbricate alle loro falde; in meno d'un'ora pare che si debba arrivare ai piedi delle prime montagne. Al levar del sole tutta la grande catena si tinge d'un colore di rosa leggerissimo, d'una grazia infinita, che impone quasi il silenzio all'ammirazione, come se la parola dovesse rompere l'incanto, e far svanire la visione. E durante il giorno lo spettacolo cangia ad ogni ora. A momenti si vedono appena dietro a un velo di nebbia, come una linea misteriosa, i contorni altissimi delle cime che paiono profili di nuvole enormi ed immobili. Poi la catena immensa passa, per tutte le sfumature più fresche e più pompose dell'azzurro, presentando tutta una tinta unita senz'ombre, che le dà l'apparenza d'una prodigiosa muraglia verticale e merlata che separi due mondi. Ora le montagne appariscono v
orni bruni sul cielo purpureo, come le guglie d'una città favolosa sullo splendore d'un incendio, e quando tutto il grande cerchio delle montagne essendo già immerso nell'ombra,
della natura. Le colline schierate sulla sponda opposta s'avanzano sul fiume, si ritraggono, si dispongono ad anfiteatro, si risospingono innanzi, s'innalzano le une sulle altre a curve leggiere e gentili, che si fanno accompagnare con uno sguardo carezzevole e con un atto di consenso del capo; e sono coperte di vigneti, ombreggiate di boschetti di pini, sparse di case e di ville, non tante fitte da toglier loro la grazia della solitudine campestre, simili qua e là nella vegetazione e nelle forme a certi tratti delle colline del Bosforo e del Reno. Una schiera di case da villaggio si stende lungo la riva; da una parte il Castello rosso del Valentino specchia nelle acque le sue mura severe e i suoi tetti acuti, e i
o; una piccola città a parte, giovane di trent'anni, operosa, formicolante di operai lordi di polvere di carbone e di impiegati accigliati, che attraversano le strade a passi frettolosi, fra lo scalpitìo dei cavalli colossali e lo strepito dei carri carichi di merci che fan tintinnare i vetri, barcollando fra gli omnibus, i tranvai e le carrette, sul ciottolato sonoro. L'aspetto del sobborgo è ancora torinese, ma arieggia la ?barriera? di Parigi. I portici sono affollati di gente affaccendata, che si disputa lo spazio; le scale delle case risuonano di passi precipitosi; nei caffè si parlaserpeggiano fra i muri variopinti e le cancellate eleganti dei giardini, girando intorno alle case mute in curve rispettose e cortesi, e formando crocicchi simpatici, da cui si vedono qua e là spicchi obliqui di villette lontane, terrazze a balaustri, piccoli portici, giardinetti d'inverno coperti di vetrate, padiglioncini e chioschetti coloriti; dietro ai quali appaiono e dispaiono livree di cocchieri e cuffiette bianche di governanti. Si dimenticherebbe di essere a Torino, se tutti quei tetti acuti, quei cornicioni frangiati, quei camini di forme graziose e bizzarre, non si disegnassero sulla bianchezza delle Alpi. è un quar
la d'equitazione, sciami d'operaie dagli opifici militari; e qualche volta, mentre l'Arsenale d'Artiglieria riempie le strade vicine dei suoi rumori minacciosi, dal Laboratorio pirotecnico si sentono delle detonazioni, la Caserma della Cernaia echeggia di canti e di squilli di tromba, le bande dei reggimenti passano suonando, e le macchine a vapore del genio militare percorrono le strade, facendo tremare le case. Compiscono il quadro i vecchi ufficiali giubilati che leggono la gazzetta all'ombra dei platani, e le lunghe processioni di ?figlie di militari?, vestite di nero e d'azzurro, che passano sui viali, in doppia fila, per ordine di statura. Tutto quel quartiere di Torino piglia colore dall'esercito. Sotto i portici ci son le piccole trattorie che tengon pensione, affollate d'ufficiali verso l'imbrunire, camere mobiliate e libere ai mezzanini, gran quadri di fotografi, pieni di militari pulit
n point
nti al suo casotto, sopra gli spalti
sibile d'infermi, di vecchi, di traviate, di ?preservande?, di ragazze abbandonate, di bimbi senza parenti, di giovinetti poveri, di maestre e di suore che pregano, soffrono, studiano, lavorano, si preparano alla vita e alla morte, separati dal mondo, nel raccoglimento severo della loro piccola città solitaria. Le strade sono quasi deserte. Passano carrozze colle tendine calate, s'incontran preti, qualche monaca, poveri, si sentono canti di bambini, echi lontani di litanie, rumori di porte interne aperte e chiuse cautamente, e tintinnii di campanelli di parlatorii, a cui succedono silenzi profondi. Tutto spira pace, rassegnazione e penitenza. Chi passa di là abbassa la voce senz'avvedersene; scorda la Torino rumorosa del lav
ffeggia, il sarcasmo che leva la pelle, strazia la carne e incide le ossa. Da una parte c'è il mercato delle contadine, venute da tutte le parti del circondario, partite a mezzanotte dai loro villaggi per arrivare in tempo a pigliare un buon posto a destra e a sinistra d'un viale fiancheggiato di platani; e son là schierate, ritte o sedute, colle loro derrate esposte su mucchi di neve sudicia, strette le une alle altre come per tenersi calde, inzoccolate, imbottite, infagottate, fasciate di pezzuole e di scialli, con guanti di cenci e con fazzoletti attorcigliati intorno alla fronte, con cappelli da uomini sul capo, con vecchi mantelli da carrettiere sulle spalle, e lo scaldino fra le mani, coi nasi e i menti pavonazzi; e in mezzo a loro passa la processione accalcata e lenta dei compratori. Qui un pretucolo soffia tra le penne d'un pollo per scoprire le polpe, là una vecchia signora cogli occhiali spera le uova ad una ad una di contro alla luce, più in là un vecchio celibe, accompagnato dalla cuoca con la sporta, scruta un formaggio con la lente; da ogni parte si tasta, si palpa, si soppesa, si fiuta, si disputa, in un tuono di lamento stizzoso, gesticolando coi cavoli in mano, brandendo i cardi, scotendo le galline, gettando nelle orecchie di chi passa frammenti di dialoghi monosillabici, che fanno indovinare dei tira tira d'un'ora per un centesimo, delle economie disperate, delle avarizie rabbiose, delle pazien
a far impazzire il disgraziato che ne dovesse far l'inventario. La pianeta del prete, il cappello sfondato del bersagliere, la marionetta rotta del teatrino di San Martiniano, il vestito di seta lacerato al veglione del teatro Scribe, la serratura del cinquecento, il romanzo incompiuto di Eugenio Sue, il chiodo rotto, il basto dell'asino, il quadro a olio, il berretto piumato del tenore, denti finti, spille scapocchiate, padelle senza manico, elmi, mappamondi, gambe di tavola, spogli d'alcove, di salotti, di studi d'avvocato, di soffitte, d'officine, di taverne, muffiti, sbrindellati, rosicchiati dai topi, bucati dalle tignole, marciti dalla pioggia, smangiati dal fango, consunti dalla ruggine, senza colore, senza forma, senza nome, senza prezzo: c'è tutto quello che il mare agitato della vita umana rigetta da sè, tutto quello che la mente può immaginare di più miserabile, di più inutile, di più spregevole, di più rifinito e di più snaturato dal tempo, dall'uso e dalla violenza. In quello strano mercato comincia
posta; l'operaio di statura media, d'aspetto rude, di membra solide, di movimenti da soldato; l'uomo nuovo, l'industriale, il commerciante, l'agente d'affari, fra i trenta e i quarant'anni, trascurato nel vestire, di viso serio, grigio innanzi tempo, leggermente invermigliato dal Barolo vecchio, col sigaro di Cavour spento fra le dita della mano inquieta, e un pensiero fisso sulla fronte; il grosso padre di famiglia, borghese benestante, con un viso benevolo, che manifesta poche idee, ma quelle poche nette e salde, e inchiodate profondamente nel cervello, nella coscienza e nel cuore, e tratto tratto qualche signora alta, sottile e bianca, coll'occhio azzurro e il piede patrizio, che fa col suo mantello di velluto nero una macchietta vigorosa e pomposa nel grigio volgare della folla. Tutti camminano guardando diritto davanti a sè; si discorre senza rallentare il passo; poche conversazioni ad alta voce; nessuna apostrofe da un lato all'altro della strada; si parla a mezza voce, a frasi spedite, gesticolando in uno spazio circolare di non più di due palmi di raggio, e risalendo prontamente sul marciapiede, per forza d'abitudine, ogni volta che s'è stati costretti a discendere. E già, nelle strade frequentate, si vede, come nelle grandi città del nord, una gara ad arrivare i primi, a lasciarsi indietro chi ci cammina accanto, come se ogni vicino fosse un concorrente in affari. Tutte le scorciatoie sono utilizzate, si svolta rasente i muri, s'attraversa la strada di corsa, s'inseguono i tranvai, si fa folla agli incrociamenti delle carrozze e dei carri, e s'apostrofano carrettieri e
pigliar spazio la folla è costretta a fermarsi, e tutti ?segnano il passo? come una colonna di soldati. L'aspetto e il contegno generale è grave, come l'andatura, e come disse un professore arguto, sembra che tutti ?meditino un regolamento?. La gente gira tutt'intorno alla Galleria Subalpina, a passi lenti, processionalmente, come nella sala d'un museo, non facendo che un leggiero bisbiglio, che lascia sentire distintamente le note acute dei cantanti nella sala sotterranea del Caffè Romano. Sotto i portici non si sente che un mormorìo sordo ed eguale, fra cui risuonano forte, qua e là, le sciabole degli ufficiali e le risa argentine delle fioraie e delle sartine, che fanno una scappata a traverso al bel mondo, coll'involtino in mano, prima di tornare a casa, e i colpi secchi delle porte dei caffè aperte e richiuse bruscamente per timore del freddo. Par di essere in una galleria d'un palazzo grandissimo, dove i convitati sfilino rispettosamente al cospetto d'un principe. E siccome gl'incontri sono frequentissimi e si ripetono, così è un salutarsi continuo di militari, un continuo scappellarsi d'amici e di conoscenti, di studenti e di professori, di grossi e di piccoli impiegati, che si voltano obliquamente, passandosi accanto, per non urtarsi nel petto. Della gente non si vede che il viso e i fiati fumano. Ma i baracconi riparano dal freddo. Si sta bene in quella calca, così stretti, l'uno addosso all'altro, e pare che tutti provino piacere a pigiarsi, a sentirsi davanti, dietro e dai lati dei pesanti pastrani, dei grandi mantelli d'ufficiali, dei grossi borghesi ben pasciuti e caldi, usciti allora da una sala
de, quando il cielo coperto piglia successivamente mille colori strani di viola, d'oro e di porpora, che paiono riflessi di grandi incendi lontani, e ogni strada è chiusa da una cortina di nebbia, come dal fumo del fuoco di fila d'una barricata, nel quale i monumenti si drizzano come larve, e le persone appariscono all'improvviso, come se sbucassero di terra, e tutta la popolazione affaccendata della mattina, morsa dal freddo, precipita il passo, batte i piedi, stropiccia le mani, soffia sulle dita, saltella e scantona ad un angolo retto, con le spalle ingobbite e il gomito al muro, come se fosse inseguita e sferzata da una legione d'aguzzini invisibili, e par che i raggi del sole s'arrestino intimiditi sui cornicioni delle case, e che la città sia condannata al gelo e alla mezza luce d'un'alba perpetua. Ma è bella sopra t
r la città, ne ritrovano una ad ogni passo; riconoscono luoghi e persone, rivedono col pensiero gli amici e i compagni perduti, ricordano alla svolta d'ogni via, si può dire, un avvenimento e una commozione. Il popolo torinese è tutto in giro, e in quei giorni rivive anch'esso in quel bel tempo, che par già tanto lontano, in quei begli anni di speranze e d'entusiasmi; anch'esso riconosce a ogni passo un ospite antico, deputati incanutiti, generali incurvati, gravi pubblicisti di cui ha letto le prime appendici letterarie, ministri che vivevano in una cameretta al quarto piano in via Dora Grossa, visi, voci, gesti che ravvivano tutti i suoi più cari ricordi e gli fanno battere il cuore. Allora ce
RE
no, 1
no, qualche giorno fa, di mandar un saluto alla città di Firen
i operai e brigatelle di giovani e coppie d'innamorati e villeggianti e carrozze, quella sera, non vedendo anima viva, si sentiva prender dalla malinconia. Andava su a passo lento, si fermava dinanzi ai cancelli chiusi delle ville, dinanzi alle chiesuole, ai tabernacoli, ai m
o.-Poichè è l'ultima volta che la vedo,-pensava,-la voglio veder bene, tutt'a un tratto, come al cader di un velo.-E faceva tra sè quei ragionamenti fanc
ciuolo, prese fiato, e poi si volt
icciosa; tutto un verde leggiero, variato sui punti eminenti del verde cupo dei cipressi, disposti a file e a corone; interrotto da prati fioriti; listato di strade, di viali, di sentieri bianchi, che s'incrociano, s'inerpicano sulle cime, precipitano dal lato opposto, e spariscono e riappariscono in distanza; casette, gruppi di case, ville su tutti i rialti, nette, spiccate, che par che i colli le buttino innanzi come per porgerle; oltre la città un
rutta giornata, nevicava, non c'era anima nata per le strade. Mi parve una città malinconica. Uscito appena dalla stazione, infilai via Panzani; diedi un'occhiata, passando, a via Tornabuoni: con quelle case di colore scuro, mi fece l'effetto d'una strada tetra; andai oltre, vidi il Duomo, m'affacciai a via dei Servi: mi parve un corridoio di convento; tirai innanzi fino a via San Sebastiano: fu peggio. Mi sentivo soffocare in quelle stradette, mi pareva che vi mancasse l'aria e la luce; m'uggivano tutte quelle casucce, addossate
empo, e col bel te
tre o qu
accanto a casa mia, che guardo sempre. O i bassorilievi del palazzo più piccolo ch'è vicino alla chiesa. O sono tutte queste cose insieme.-Poi, fermandomi in mezzo a una piazza, mi venne fatto di domandarmi che cosa fosse che mi tratteneva, in quel certo punto e in quel certo modo, con l'aria e col sentimento di chi sta in casa sua; perchè mi pigliasse la voglia di appoggiare le spa
rave insieme e sereno. In una terza pensavo che non ci si potesse vivere che facendo all'amore, tanto aveva le forme snelle e la tinta gentile. Gli architetti di quelle case bisognava che fossero giovani simpatici; dovevano aver voluto dir tutti alcun che con quei disegni, e s'erano fatti tutti capire. Man mano che passavo per quelle vie, mi s'affollavano alla memoria versi, scene di romanzo, episodi storici, ariette d'opera. E alzando gli occhi ai palazzi, alle torri, ai campanili, agli archi grandiosi, mi cominciava a parere strano che, in luogo d'ispirare quell'ammirazione subitanea e profonda, mista quasi ad un senso di terrore, che sogliono ispirare i monumenti giganteschi, costringessero invece, q
giorno quella contemplazione di pochi istanti mi metteva in un corso d'idee alte e belle; sentii poi che la facoltà di quella maniera di diletto si rafforzava e s'estendeva ad altre forme dell'arte; che quel gusto del semplice e del grande s'insinuava anche un po' nel sentimento e nel giudizio mio riguardo a cose che con l'arte non avevan che vedere, a fatti, a persone, a costumi; mi parve d'essere riuscito, per effetto di quel culto gentil
o venuto qui in quello stato, abbia sentito, al lume di questo cielo e all'ombra di questi monumenti, squarciarsi come un velo che gli avvolgeva l'ingegno, tutte le facoltà ravvivarsi con impeto e ordinarsi con armonia, e dal tumulto, prima infecondo, della mente e del cuore prorompere per la prima volta, rozzi, ma ardenti e liberi, gli affetti, i pensieri, le immagini;-per chi sopra tutto abbia raccolto qui, con lungo amore, le forme e le parole da poter significare ed espandere l'animo suo, affratellandosi col popo
he gli appariva, in barlume alla mente, egli buttava la penna sconfortato e si slanciava fuori di casa, Firenze, offrendogli allo sguardo i miracoli dell'arte affollati nella sua piazza famosa, gli diceva:-Ecco la bellezza!-ed egli in quella bellezza confortava e appagava l'animo, pensando ch'ella era italiana, e il suo orgoglio umiliato d'artista moriva senza dolore nell'alterezza legittima e santa di cittadino. E quando in certi momenti di sfiducia desolata e di abbattimento mortale egli piangeva la sua provata im
nanzi l'alba e slanciati con desiderio smanioso alla campagna, come l'assetato alla fonte; e correndo di colle in colle, di valle in valle, e bevendo a lunghi sorsi deliziosi l'aura pregna di vita, abbiamo sentito sparire tristezze e rimorsi, rinascere, con l'appetito vigoroso e la gaiezza campagnola, la forza e l'ardor del lavoro! Addio contadini cortesi, vecchierelle allegre e ragazzotte col ?damo? negli occhi, che sedeste tante volte a tavola con noi, come vecchi amici; bu
occupato da un pensiero triste. Poi alzò la fronte corrugando le ciglia, coll'as
voleva vederli, e vederli ancora, e poi tornare a vederli.-Fuori!-si gridava con accento di preghiera;-vada qualcuno a pregare che si mostrino ancora una volta! Pregateli che ci parlino! Li vogliamo sentire ancora!-I loro nomi correvano di bocca in bocca; alcuni erano di famiglie antiche ed illustri, imparati già nelle storie, o intesi nelle scuole, nomi solenni, che si pronunziavano con rive
bbra, anche dei popolani, con un senso nuovo, quasi come nomi di gente viva, di cui que' deputati ci avessero portato un saluto o un ricordo. Firenze! Si vedevano con la mente, a questo nome, delle legioni di scultori, di pittori e d'architetti, che ci gridavano:-Viva!-da lontano, agitando scalpelli, tavolozze e corone. Oh come si conoscevano tutti senz'averli mai veduti! E come si sentiva la solennità di quell'istante, la fusione di quei due popoli e di q
ai, ridendone come d'una cara sorpresa e parlandone con una compiacenza non scevra d'alterezza? O le loro donne di servizio, venute dalle falde delle Alpi, che quando c'è confusione in mercato dicono che ?non ci si raccapezzano?? O i rivenditori di giornali, nati sulle rive del Po, che rifanno il verso ai nuovi venuti, perchè non gridano ancora coll'accento paesano? Sogni! Interrogateli-?Signore!-vi ris
a tenerezza piena di malinconia e di desiderio, perchè qui si son stretti dei cuori, molti, e con nodi tenaci, come segue sovente fra chi s'è tenuto il bronc
i ragazzi, che amano, perdonano e dimenticano, li costringano a levar le mani di tasca, e a tenderle di qua e di là, e gridino:-Stringete!-Animo, giù il cappello, ancora una volta, davanti a San
ultimo saluto a
di lucciole, che la fan parere tutta accesa. Così tutti quei lumi, a socchiudere appena gli occhi, si confondevano in un solo strato luminoso, che rendeva l'immagine d'un gran lago di fuoco. Dalle lunghissime file dei fanali della cinta, simili a ghirlande tese intorno alla città, altre file di lumi si stendevano dentro e fuori, diritte, curve, incrociate; altre interrotte qua e là, altre
e istante di muta contemplazione agitand
n sospiro
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L'ESERCITO IT
settemb
tre per le vie di Roma risuonano ancora le grida del primo entusiasmo e della prima gioia. Tutto quello che ho veduto ieri mi sembra ancora un sogno; s
Tutto ha superato non solo l'aspettazione, ma la immaginazione. Bisogna aver veduto per credere. Dubiterete della mia sincerità, lo prevedo; ma non voglio spender parole pe
dai nuvoli del fumo che le operazioni militari erano state dirette su vari punti. Così era infatti. Il 4.° corpo d'esercito operava contro la parte di cinta compresa tra porta San Lorenzo e porta Sala
e che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a Porta Pia, e che i cannoni dei pontifici appostati là erano stati smontati. Si parlava di qualcuno dei nostri artiglieri ferito. Ne interrogammo parecchi che tornavano dai siti avanzati, e tutti ci dissero che i pontifici davano saggio d'una maravigliosa imperizia nel tiro, che i varchi già erano aperti, che l'assalto della fant
ello che fecero le altre divisioni. Vi dirò della di
si vedeva nettamente. Il fuoco dei cannoni pontifici, da quella parte, era già cessato: ma i soldati si preparavano a difendersi dalle mura. A poche centinaia di metri dalla barricata due grossi pezzi della nostra artiglieria traevano contro la porta e il muro. Il contegno di quegli artiglieri era ammirabile. Non si può dire con che tranquilla disinvoltura facessero le loro manovre, a così breve distanza d
lioni dei bersaglieri della riserva; sopraggiunsero altre batterie di artiglieria; s'avanzarono altri reggimenti: vennero oltre, in mezzo alle colonne, le lettighe pei feriti. Corsi con gli altri verso la Porta. I soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si sentiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano entravano. Da una parte della strada si prestavano i primi soccorsi a due ufficiali di fanteria feriti: uno dei quali, seduto in terra, pallidissimo, si premeva una mano sul
ra rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era s
entravano rapidament
o il Corpo diplomatico in grande unifo
aggi di Stato, sopraggiungono. Il popolo ingrossa. Giungiamo in piazza di Termini: è piena di zuavi e di soldati indigeni che aspettano l'ordine di ritirarsi. Giungiamo in piazza del Quirinale. Arrivano di corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini con le armi tolte agli zuavi. Giungono i prigionieri pontifici. I sei battaglioni dei bersaglieri della riserva, precedu
ntusiasm divampa: non v'è parola umana che valga ad esprimerlo. I soldati sono commossi fino a piangerne. Non vedo altro, non reggo alla piena di tanta gioia, mi spingo
o in un punto ora; è il grido della libertà di Roma che si sprigion
da lontano:-I
a occupato dagli squad
Qualcuno, forse un parlamentario, è salito sul Campidoglio. Parecchi ufficiali lo seguono. La folla, dal basso, guarda con grande ansietà. Ad un tratto cadono le materasse della barricata e appaiono le uniformi dei nostri ufficiali che agitano la sciabola e chiamano il popolo gridando: Il Campidoglio è libero.-La moltitudine getta un altissimo grido e si slancia con grande impeto su per la vasta scala, passa fra le due enormi statue di Castore e Polluce, circonda il cavallo di Marc'Aurelio, invade i corpi di guardia degli zuavi e rovescia, spezza e disperde tutto quanto vi trova di soldatesco. In pochi minuti tutto il Campidoglio è imbandierato. Il cavallo dell'imperatore romano è carico di popolani; l'imperatore tiene fra le mani una bandiera italiana. Un reggimento di fanteria occupa la piazza. è accolto con grida di entusiasmo. La banda suona la marcia reale, miglia
rifugiati gli zuavi e gli squadriglieri, son
ti. Giungiamo in piazza Colonna. In mezzo alla piazza vi sono circa trecento zuavi disarmati, seduti sugli zaini, col capo basso, abbattuti e tristi. Intorno stanno schierati tre battaglioni di bersaglieri. Il colonnello Pinelli e molti ufficiali guardano g
zzo ai fischi del popolo; tutti gli altri sono lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo alle loro file. Ogni cittadino ne vuole uno, se lo piglia a braccetto e lo conduce con sè. Molti si lamentano che non ce n'è
i, sono salutati con alte grida. Si festeggiano i medici, i soldati del treno, gli ufficiali dell'intendenza. Passano i generali e tutte le teste si scoprono.-Viva gli ufficiali italiani!-è il grido che risuona da un capo all'altro del Corso. In piazza San Carlo un maresciallo dei carabinieri a cavallo, scambiato per un generale, è ricevuto da una dimostrazione clamorosa, che gli cagiona un grande stupore. Da tutte le strade laterali al Corso continuamente affluisce popolo. Non v'è gruppo di cittadini che non abbia con sè un soldato, e ciascun gruppo osserva il suo da capo a piedi, gli toglie di mano le armi, gli parla tenendogli le mani sulle spalle, stringendogli le braccia, guardandolo negli occhi cogli occhi s
in mezzo alla fronte, e pare che faccia vacillare la ragione; si direbbe che è un sogno; non si può quasi credere agli occhi; è una felicità che soverchia le forze del cuore.-Roma!-si esclama.-Siamo a Roma? Quando ci siam venuti? Come? Che è accaduto?-Il ricordo di quello che è accaduto è già confuso come se fosse d'un tempo remoto. è una commozione che opprime. Ad ogni strada, ad ogni piazza in cui s'entri, l'occhio gira intorno maravigliato, e il sangue dà un tuffo. Avanti, di maraviglia in maraviglia, di palpito in palpito, via via che si pr
ta da migliaia di fiaccole. Drappelli di signore a due a due passano tenendo in mano dei cerini accesi, che rischiarano il loro petto coperto di coccarde, di sciarpe, di nastri tricolori. Sopra questo fiume di gente nuotano, sbattuti di qua e di là, cappelli di bersaglieri, cheppì, berretti, canne di fucile a centinaia. Le signore gettano giù dalle finestre fiori e confetti ai gruppi dei soldati che tendono le mani. Da un capo all'altro della lunghissima strada, a og
e almeno i contorni. Da tanti anni ardevo di vederlo! Il cuore mi batte a precipizio. Ormai sono in un luogo deserto, non sento più una voce, non un passo; tutto è queto ed oscuro. Eccoci, mi dice il cocchiere. Io balzo in piedi, guardo, veggo un'immensa macchia nera sul cielo, e tanto è l'impeto e la dolcezza con cui i ricordi e le immagini della memoranda giornata mi assalgono tutti in un punto, che non s'arresta il mio sguardo sui meravigliosi contorni, nè vi si può arrestare il pensiero. Sguardo e pensiero si levano più in alto, e dal profond
A DI SAN
di San Pietro c'è una grande novità: i bersaglieri, dei quali non è fatto cenno, credo, nè dalle guide, nè dai libri archeologici, nè
a. Passando sul ponte Sant'Angelo, incontrammo u
dati,-disse;-ne sono piene tutte le scale,
iglia di lontananza, grande, netta e spiccata, che mi pareva a due passi, e mi faceva soffrire le pene di Tantalo? è im
ndo il mio compagno mi consigliò di chiuder gli occh
ozza si fermò e l'a
le fontane, la gradinata, la cupola, ogni cosa come s
scuoti? che impressione ti fa?
osa basilica? Questa la cupola che si vede di lontano
un
amico, vuoi ch'io
ua
ar pi
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esa, la facciata, la cupo
e in uno scr
par piccolo, mi par piccolo,
a quel
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i d'una delle colonne
ezza della colonna, misuro la larghezza, poi l
imm
ccorgere che qualcosa è gigantesco dove tutto è gigantesco? A pri
: sono larghe come case. Guardiamo in su: sono alte come campanili. Ci voltiamo indietro: quanta strada s'è fatta! Le fontane, pur ora così grandi, s
o, questa volta te lo dic
mba in bassorilievo, di ma
ed
par che giunga d
co
dia
due passi. Eccoci. Oh questa è curiosa! Stendo il braccio
quell'iscrizione lassù
tro p
arda quelle finte colonn
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oh cospetto! i ragazzi sono soldati d'artiglieria grandi e grossi come Ciclopi; la cosa è la statua di San Pietro; i soldati le baciano il piede
loro le mani sulle spalle, sulle braccia, sulle ginocchia, come fanno i ciechi per riconoscere. Un gruppo di bersaglieri è estatico davanti a San Longino. Parlano tra di
na maraviglia che ha dell'estasi. è il solo punto della chiesa in cui collo sguardo si sollevi al cielo il pensiero. Nelle altre parti è enormità che stupisce e splendore che abbaglia, non grandezza che ispira; ci si sente il teatro; si pensa più alle fatiche e ai milioni che vi si profusero, che all'Idea cui furono consacrati; più a
no confusamente allo sguardo, vicine, fitte, ammontate. L'attenzione non basta a tutte insieme, sopra una sola non può fissarsi, che le altre la tirano, e così tremola e si stanca senza nulla abbracciare. Col
mento: guardano le indicazioni della lunghezza delle più grandi basiliche del mondo. Quale arriva a metà, quale a due terzi, quale a un terzo: chiesuole. ?Mamma mia!? esclamano i soldati napolitani. Quante moltiplicazioni dovranno fare, tornati ai loro villaggi, per dare un'idea di S
è l'iscrizione di Ferdinando II di Napoli. Sotto, appoggiate al muro, ci stanno otto daghe da bersagliere. Più su, a ogni passo, cappelli coi pennacchi, cheppì, sciabole di cavalleria, cinturini, giberne. Sopra la testa e sotto i piedi, un fracasso da stordire. Sono squadre intiere di soldati che scendono, salgono, s'incontrano, si salutano, si espr
al parapetto, si guarda nella piazza: è un formicaio. Si guardano le statue che sorgono in fila sul sommo della facciata: che moli! Piedi che non istanno sul tavolino dove scrivete; pieghe dei panni in cui si può nascondere un uomo; dita che paiono clave. V'è una chiave di San Pietro che a prima giunta si piglia per un'ancora di bastimento. I soldati scorrazzano da tutte le parti, chiamandosi e salutandosi dalla piazza al tetto, dal tetto alla cupola, ed esprimendosi la maraviglia con quel ridere allegro
la chiesa,-mi dice il compagno. Guardo.-Ma come! là dentro stavano tutti quei vescovi? Ma se è grande come una scatola da tabacco!-Che cosa paiono gli uomini laggiù? Mi ricordo il detto del Guerrazzi: ?quello che sono, insetti?. Intorno a
zag, scale comprese fra due pareti curve dove bisogna camminare rotolandosi sulla parete più bassa; e da capo scale dritte, e da capo scale a chiocciola,
là, è d'un artigliere lombardo.-?Madona!?-esclam
erme, nere e gigantesche. Le statue in cima alle colonne, le punte degli obelischi, le sponde curve del Tevere, il Pincio, la villa Borghese, il Quirinale, San Giovanni Laterano, il Gianicolo, che sembra una collinetta di giardino, tutto si vede distintamente. Il giardino del Vaticano pare un'aiuola; il Vaticano, un edifizio comune, coi cortiletti: è tutto chiuso e deserto. Ecco Monte Mario. Ecco laggiù la campagna romana,
pensierosa; pare che voglia dire qualche cosa, sorride,
quel che
e se
gli altri soldati, sul punto di scender
se echeggia il suono dei passi p
I E
rnello che comincia: ?Catholiques, debout!? Ha una strofa che arieggia quella dell'inno francese: ?Entendez-vous dans ces campagnes?, con la differenza che ai ?féroces soldats? sono sostituiti ?les barbares?. Ha un
si servirono principalmente i fautori del governo papale per suscitare e tener vivo il fanatismo nei soldati, per destar nel popolo l'avversione al governo
te del popolo dalle dimostrazioni entusiastiche così
i più noti, e in voce di liberale, gli domandam
n si potrebbe desiderare di meglio.-E poi a bassa voce:-Hanno rispettato le chie
si venisse qui per far man
nemmen p
ti si saranno chiusi in casa e fatti dar del codino. Ma ora che si son disingan
a e supplichevole:-è una buona persona il nostro curato, glie l'assicuro; è un galantuomo; non gli dispiace mica ch
se di far la festa ai preti, come diceva don Abbondio. Ora lamentatevi, se
o che v'erano passati i soldati. Un popolano, accennandoli, disse
inita?-gl
i lumi d
minaristi seguiterete ad averli; ce li
poi domandò:-In Italia? Ce
noi in
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ano per l
no gli d
lete che
za; mi ripugnava quasi di
. Alla paura delle cannonate gli era poi sottentrata la paura delle dimostrazioni. Passavano alcuni giovani cantando e sventolando bandiere. Non avendo più tempo di fuggire, crede
o dei giovani del drappello lesse nel viso al vecchio e gli disse con piglio sever
o rimase
uando a guardarlo. Il povero Italiano fallito non profferì più parola. An
ondere certi palloncini da luminaria su cui era scrit
ella roba do
io
ciat
a per il papa; io
non c'è mica bisogno c
esta r
servire, e tira poco, speriamo
dice
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dei villaggi la buona gente tremava per la loro vita, essi, dalla finestra, assistevano tranquillamente al
llido e tremante, e giunto a pochi passi dai primi soldati, si fermò e giunse le mani in atto di chieder grazia.-?Fa nen 'l far?eur?-gli dis
ttero a veder sfilare sei battaglioni di bersaglieri sulla porta del convento, sereni e ridenti c
Roma, r
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mise una man
alle file. E il frate e
, Se l'?Unità Cattolica? osservasse che è inurbanità il dirigere la parola a chi non si conosce, le si potrebbe rispondere che nessuno obbligava i preti a mettersi alle finestre o a p
r non aver a prendere parte, neanco come spettatori, alle dimostrazioni del popolo. Tuttavia, ripeto, alcuni se ne videro anche il primo giorno, e passavano in mezzo alle bandiere e alle grida, sicurissimamente, come in casa propria, senza esser nemmeno g
mente, seduti sugli scalini. I bersaglieri mangiavano; due o tre frati rivolgevano tra le mani una gamella, guardandola di sopra e di sotto; altri tenevano in mano un pane di munizione; altri osservavano con molta
da soldati. La gente guardava e rideva. Era infatti una mescolanza così nuova e strana, che pareva di sognare. E il modo con
come per consultare il tempo, e, sentito grida o musiche lontane, richiudevano le imposte. Altri uscivano in fretta da una porticina, si arrestavano a un tratto, come le lucertole, a spia
folla, per vedere che bestia fosse. Ne vidi due che sbirciavano da lontano due carabinieri in tenuta di parata. Li guardarono dalla t
traverso, rasente il cappello, al di sopra della spalla, tra le dita della mano, o facevano scorrere due dita i
aver detto in cuor loro:-Qua
come ai principi del sangue; chi avesse visto il sorriso che fecero quando si videro presentare le armi, lo sguardo benigno e gentile che girarono sui soldati, e l'atto di ringraziamento con cui accompagnarono lo sguard
i soldati italiani erano barbari, e non li hanno visti torcere un capello a un reverendo; ch'erano empi, e li hanno veduti affollarsi nelle chiese a baciare i piedi dei santi; ch'erano vandali, e li hanno visti pagare ogni cosa a soldi sonanti, e regalare le pagnotte ai f
litiche debbono aver
oleva credere morte neanche nel cuore del Papa, debbono essersi scosse nel loro cuore la sera di quel giorno. Le grida e i canti del popolo debbono essere risonati nelle celle silenziose dei monasteri, come un avvertimento, come un consiglio, come un rimprovero. Molti debbono aver invidiato dal più profondo dell'anima quella gioia; debbono aver rimpianto di essersi ridotti in condizione da non poterla godere; alcuni, forse, tendendo l'orecchio alle musiche lontane, debbono aver provato un sentimento di t
E DI CA
le terme di
passare vicino
are il Campo
l'arco
loaca M
non c'è da sentirsi gonfiare, e mettersi a parlar latino, anche a rischio
a in fretta, e senza molto badarvi, che tanto c'era stato detto e ridetto del
e perchè il Colosseo ce n'aveva fatto una grande, e perchè l'idea, prosaica che in fin dei conti le t
li ultimi tempi, allorchè si vedevano sorgere dall'acqua alla rinfusa teste di patrizi e di matrone, e i consoli spruzzare i senatori, e l'imperatore tuffarsi nella
ri,-dice a un tr
cosa, di straordinario e di grande non resta mai distinto nella memoria. La porta s'apre, entriamo in una specie di vestibolo, e udiamo una voce
un pezzo i
ra, e via via, fino a un muro lontanissimo che sembra chiudere l'edifizio. Alla nostra sinistra una porta come le prime, e altri campi, e altri muri, e altre porte; e tutto deserto e silenzioso come una città abbandonata.. Guardiamo i
udine che fa quasi paura. Eccoci nel secondo recinto. Muri, porte e mucchi di terra come nel prim
snelli come obelischi; porte e finestre sformate, squarciate agli spigoli come dall'uscita forzata di un corpo più grande e dentellate in giro, e dentro buie come bocche di mostri; scale coi gradini divelti, spaccati, corrosi, in mille modi scemati e guasti, come dall'opera di mille mani rabbiose. E via pei muri fori d'ogni forma, e incavature larghe e cupe, di cui non si scerne il fondo, e vestigia interrotte della commessura dei piani, e tracce di porte, di nicchie, di pareti, di canali, di vasche. E in terra, in mezzo
e questo vuoto, se là rimanesse ancora quell'atrio, quante cose se ne potrebbe argomentare e capire! Che peccato!-E più e più volte si ricomincia, con mesto desiderio, questa ricostruzione mentale. Si vedono di sbieco, per una porta, i primi gradini di una scala; chi sa dove mena? Si corre con grande curiosità, si guarda: che stizza! La scala è troncata a metà. Si vede l'imboccatura d'un andito: o dove riesce? Si corre a vedere: oh delusione! riesce nei campi. Si stanca l'occhio sulle v?lte e sulle pareti che dovevano essere dipinte, caso mai ci restasse un po' di colore, qualche linea, una traccia qualsiasi: nulla. Nulla delle vaste gallerie dove si facevano i giuochi, nulla dei portic
o s'immerge
bbrezza dei piaceri. L'aria è profumata. Cadono nelle celle le bianche stole delle matrone, e le schiave affannate sciolgono i calzari purpurei e le treccie brillanti di perle. Dall'acque, infuse di balsami, emergono i volti accesi di voluttà. Sull'orlo delle vasche si affollano i servi colle striglie argentee e i vasi degli unguenti. Al rumore delle acque cascanti si mescono le musiche e i canti dei cenacoli, le grida del popolo plaud
cchi di sassi, un po' d'e
o vederla vivere un istante, con uno sgu
i bagni, coll'avviso:-è proibito di fumare.-In luogo delle grandi piscine, la tinozza dove si sta rattrappit
tetto), quando il silenzio profondo che regnava int
d'un muro altissimo chiamava i suoi compagni rimasti giù,
i mosaici. Altri esperimentavano l'eco gridando dei coman
amo. Guardammo giù, e ci meravigliammo d'esser tanto saliti. Da quel punto, abbracciando con lo sguardo una gran parte dell'edifizio, potevamo formarci un concetto più adeguato della sua grandezza. Ci trovavamo sopra una lingua di v?lta sottilissima, che pareva stare in aria per miracolo. A guardar giù per le fessure girava la testa. Da un lato si vedeva una lunga
evano sorreggere degli architravi; torsi di guerrieri atletici senza capo; in un canto un mucchio di teste di dèi, di soldati, d'imperatori, di vergini, tutte mutilate, e col viso rivolto verso chi guarda; rottami di colonne che tre uomini non possono abbracciare, e mucchi di figurine e di pezzi d'ornato staccati dai capitelli, e pietre di mosaico sparse. Tutti questi marmi lasciati così in terra, e
ano: tutti pensano; si entra allegri, si esce tristi. Ritornando in città ci parve d'entrare in un mondo nuovo. Pensavo alla strana impres
stagioni e la presente e
tri altrettanto remota quanto pareva a
nostri trionfi e le nostre gioie nazion
POPOLARE N
percorse da folti drappelli di cittadini con bande musicali e bandiere. Arrivati al Campo, i drappelli si confusero in tre o quattro lunghissime colonne, e moss
n pareva crescere. Una parte della prima galleria era piena zeppa di gente; ma così lontana, benchè solo, a mezz'altezza del muro, da non riconoscerne i visi a occhio nudo. Dalla galleria in giù, su tutti i gradini, su tutti i macigni, su tutti i rialti del terreno v'era popolo: donne, bambini, signori, poveri, tutti vestiti a festa, con nastri tricolori e coccarde. Da una parte dell'arena s'alzava un palco, e sul palco un pulpito; intorno molte grandi bandiere tenute in pugno da cittadini. Sul cielo del pulpito un gruppo di pompie
ttia Mo
orompe dalla folla e un
lto e nascosto quasi dalle bandiere, sale sul pulpito a cap
lla libertà e restituito per
ante, e poi con irr
o ti s
ghiozzo; egli si copre gli occhi co
ntusiasmo, tendendo le brac
zio! S
La folla, ondeggiando e rimescolandosi, si stringe intorno al pulpito. Le paro
orale del Papa,-egl
no d'a
ra la folla, e un braccio convulso si sol
sempre!-ripete
te con accento imper
zio! S
pi,-prosegue il Montecchi,-è uno dei p
o e grida con tutta la forza dei suo
edere che cosa fu detto, e soggiunge:-Uno d
ltà!-ripete
a.-Ora tocca a noi di mostrarci degni della nostra fortuna. Ro
l'It
e argomento a dire che il popolo roma
so i nemici di Roma! Vi
idog
o.... lasciate
Mont
luto che il popolo facesse l'elezione in modo regolare, per mezzo delle schede, coi voti.... M
vo!
arando un elenco di cittadini appartenenti a tutte le
a Montecchi!-Vi
sarà qualche nome che ad alcuni non piacerà; ma capirete che non è possibile fare un elenco di quaranta persone che riescano a tutti ugualmente accette. Ad ogni modo qualche nome si potrà cambiare. Terminata la lettura, io da
e....-grida all'impr
on è il momento!-si
si dica Viva il Re!-grida l'interrut
glio che si grida viva il Re
omento adesso ch
ti che
guar
opo che uno di voi avrà parlato, io metterò a' voti l'elenco, nella sua totalità, s'intend
nto persone si
lo leverete poi; come volete approvare l
oro che si tolsero il cappello e col
me da cambiare, quello di voi che verrà qui a parlare lo dirà, e i nomi saranno cambiati. Ma mi raccomando; lasciate leggere tutti i nomi di seguito senza interrompere. Parlerete dopo. Vedete, è l'unica m
a! Viva Montecchi! Viva Vitt
o per l'ultima volta.
lpito alza tanto la bandiera che q
a bandiera!-gli
zionale, sai!-rispon
ndiera nazionale devi ca
da il
e pr
-si grida
i; ma ve ne riprego, non m'interrompete, se no si va
! Legg
la folla un sil
i legge:-Ta
to; un momentaneo b
dei
opolo è ben dispost
dei
d'inferno si leva e si prolunga per cinque minuti da ogni parte dell'affollato uditorio. Il Montecch
te alza
enzio!-si grid
ontinuiamo come abbiamo cominciato, non discutiamo i nomi, non perdiamo tempo, parlerà uno per tutti, tut
Legga! Non si discu
telo l
i legge:-Ta
pestar di piedi e agitare di mani. E di nuovo il Mon
bbasso!-gri
viva!-alcun
ei paolotti laggiù? Fuori! è pa
ecchi:-
mercanti
i, con voce
n discutan
scute! ?Se dice per di' ch
o d'ap
cutano,
massacrare il
si fra
Ma pr
li v
o' di sil
li v
e:-Parliamo uno a
il Montecchi, altri apostrofano la folla dalle gallerie, si sventolano le bandiere, si
. Il terzo è accolto da lunghi applausi. Otto o dieci altri non incontrano opposizion
ppla
sulla sua seggiola e
de nella folla un v
tale ha detto che parlerà.-No, parla quell'al
disopra della folla, si alza
zio! S
nzio e si ode una vo
arola in un mom
na parte dell'anfiteatro
a parola in un m
oratore si volta bruscamente:-In nome di chi
ecchi si intromette, l'ora
rte!-grida
lla Commissione.-Venga qui sul
ui sovrasta alla folla. è un giovane sui venticinque anni, alto, pallido. Ha il capo fa
len
i p
oce man mano si innalza e si rafforza
ssi dimostrarono con ciò che d'ora innanzi gl'interessi del popolo non saranno più abbandonati agl'int
di bat
il popolo.-Le canta chiar
o che il tempo corrose, ma non distrusse
erruzioni:-A
e la mano:-Io veggo gli archi del Col
protesta:-Alla questione!-?Non volemo? prediche!-Le p
ma la sua voce è soffocata dal
al disopra di tutte le voci
iace! ?Nun volemo? liberali del moment
usi t
riotti schietti, che ?ce se
sione d'
o e formidabile sforzo:-?Nun
alva d'
sul pulpito!-Fa' val
Prest
a, si apre un varco tra la folla e si slancia verso la tribuna. Sbalzato da un suo spintone cinque o sei passi indietro, mi trovo
o quello
il Colosseo.-Le solite grida,-pensavo,-la solita confusione, la commedia solita delle radunanze popolari; ma che importa quello che vi si faccia e quello che vi si concluda? Sono grida di libertà, e basta perchè, a sentirle di qui e a sentirle uscire
orno come per assicur
i non veniamo a misurarci; ma ad ispirarci, ad attingere forza e coraggio, a meditare e ad ammirare. Il Colosseo!-ho inteso
iteatro un altissimo evviva
a d'una vita nuova; mi dice che dove perirono sotto le scuri o in mezzo alle fiamme gli apostoli della libertà e dell'uguaglianza, ora convengono cittadini liberi
a misto a suono di tromb
e distinta:-V
nsolati, vecchio gigante; così monco e sfracellato come ti trovi, tu
INATA AL
gli occhi, il mio primo pensiero fu quello che m'era venuto a Monterotondo la mattina del 20:-Dunque quest'oggi ?s'attacca!?-E stetti un momento perplesso. A un tratto mi parve di sentirmi nell'orecchio una potentissima voce:-Roma!-e mi scossi da capo a piedi, e balz
mi co
cameriere! Mi fa pena; avrà forse un lontanissimo
mate di nome
ai
-pensai,-Caio Gracc
zio
il vostr
it
andatemi a chiam
o su
rbiere
date a cercarmi un barbiere ?romano de Roma?; fate anche mezzo miglio, s
à se
'andò
o politico delle classi inferiori, e tutti sanno che quando s'è pa
po dei nostri: un vecchietto azzimato, pulito
zione, io studiavo la man
domandandomi con
nore è
N
ali
S
rnal
i occhi. Come mai poteva già sapere che insieme con l'eser
no gior
tavolino coperto di giornali e di
sup
risolino
E poi, ora, è tutt'alt
tento del
tto, me pare?. L'Italia una, per Dio....
i
? molte cose da met
immag
sa che cosa dovrebbe
e Secondo, appen
ro di s
ri?, dovrebbe; che ?so na razza de cani?, glielo dico io, e fanno pagare tutto il doppio,
io questa la prima co
eghe debbono essere a quella data distanza l'una dall'altra. Per cagion di questo, vede, a me m'è toccato di fare ?er giovanaccio de bottega? cinqu'anni di più, chè il locale vicino ce l'avevo, e li
it
voce e mi disse
Papa, qui, in Roma, ce n'è la
bb
oppa
te s
sta razza de cani?; se no ?er? governo
nno la barba con l
i; bisogna f
alt
ma dica un po', ?ce? porterann
lle che avevat
he ?ci? hanno una grande
ì, voltandomi
e.... Eh già.... quella alle donne ?s
nso an
plina co' st
ò osservato che gli ufficiali hanno buone
o.... si parlava giusto ieri sera..
chezza
G
altro rasoio, q
altro ?
Avete visto la lum
che ?ce? porteranno tutte
enze, dirò così, che sono molte e gravi, d'una grande amministrazione.... Capirete che la finanza è finanza, i bisogni, bisogni, i doveri, doveri, e per quanto si faccia e dica dai contribuenti, è pur sempre certo che i carichi dei cittad
chi
ite anc
avo
re. Entrò il calzolaio: un gobbetto
darlo indietro; bisogna ch'io mi misuri un p
cia
aletti a
volete?-
otto
Son c
no fatti apposta
sono un po' salati. A
re; qui si paga tutto più caro. Ma io non sto sul ti
preso da un a
issandolo fieramente;-che ci ave
dicevo che l'Ital
vostri, che già.... noi altri.... ?armanco?.
ppiamo li piedi?.-Potrest'e
, se ve l'ho a dire chiara e netta, la
o ne
a a s
esta a
conos
he ?se co
? dei pret
e ral
?de?
?de
i mie
arsi fra amici; bisogna andar tutti d'accordo, e gli uni dimenticare i torti degli altri, se ce ne
mano, ma sen
tringetev
ma viva l'Italia!-
? questa soddisfazio
lo per far p
... l'
nsero l
incalzo di passione:-E io lo ?s
i,-vi si vede in viso, ecco
ai la corte agli zuavi, sap
te, a
maniera ?de? scre
ia
rivedr
e ne prego, v
i, con un'aria di vittima, col cappellino e lo sciall
donna con voce tremante,-che
a che me la ri
ello.... che...
cos'a
ra scoppiò
to?-domandai, a
. mio fratello
n m
impiegati a
bb
i mand
C
Ital
ne sicura; il governo italiano non toglierà
è inutile.... gliel
o scoppio
-esce a dire il calzola
mente la donna, sollevando
giuramento (giungendo le mani e modulando la voce); no se pole
è v
? i soliti mezzi ?de?
nun me? state a far tanto l'italiano ?co' sta? p
c
v
ta scarpa s
tela,
ccio attastà
casa tut
ei che è e
ono em
che è gio
to tutti di qui, sono stanco dei vostri piati, andat
tro verso l'uscio, ed escono vociand
in mala vista dei forestieri!-Non è vero.... il giuramento.... si r
te, che il di
rta mi gettai sul seggi
a
ti spiriti
l 20 Settembre, visto
DELLE
nque ann
sandali, un piccolo frate tarchiato, che in alcuni punti teneva quasi con
ito della vita che fuggì con esso dalle vene del martire, o svanisce alla prima lettura di una di quelle iscrizioni semplici e rozze: ?Pax tecum?, con accanto un nome di battesimo, che non vi par di leggere, ma d'udir profferire intorno a voi dalla voce sommessa di chi ha amato e sepolto chi lo portava. Il frate si soffermava a quando a quando per rischiarare la cripta di una famiglia, di cui è scomparso ogni avanzo, o nomi di pellegrini d'altri secoli incisi nelle pietre, o una grata sottile, dietro la quale, fra poche ossa biancheggianti, ci fissavano due occhiaie profonde, con quello sguardo immobile da mille e ottocento anni, che par che aspetti con fede invincibile l'adempimento d'una promessa. Ma più che altro ci arrestavamo a quelle buche mortuarie dei bambini, così strette, da parere che neanche un piccolo cadavere potesse entrarvi, se non spinto dentro a forza come un corpo ancora vivente e ribelle alla sepoltura. Ah, lì pure sono i bambini quelli che vi prendono al cuore, quei poveri piccoli cristiani messi a dormire l'un sull'altro, ammucchiati, quasi s
e vi balena alla fantasia un incontro miracoloso, l'apparizione di uno spettro di quella necropoli che v'aspetti alla svoltata, immobile e muto, e vi chiude il passo come a un miscredente sacrilego. E allora continuate a sognare, e vedete passar vagamente, lungo le pareti nere, al chiarore danzante della fiammella, uomini pallidi e austeri, capi curvati, visi estatici, occhi accesi di pianto e di speranza, che si fissano nei vostri con un'espressione di bontà ineffabile, gruppi furtivi di gente povera e umile, una confusione silenziosa di fanciulle, di vecchi, di servi, di gladiatori, di coloni, di patrizi, che vanno a passo lento, con le lampade d'argilla a la mano, e dileguano per gli ambulacri, come ombre; e pei lunghi anditi vi giungono all'orecchio salmodie di una dolcezza infinita, e dalle porte dei cubiculi singhiozzi di madri che adagian nella fossa i corpicini, dicendo con accento di sovrumana certezza:-Ti rivedrò! Aspettami in pace, figlio mio!-e sentite alle spalle i passi gravi e gli aneliti dei fedeli che portano i corpi lacerati dalle fiere, stillanti di sangue. Come dovevano amarsi! E come dovevano amare il loro Dio vilipeso, beffato, effigiato sui muri con un capo animalesco, pende
quegli anditi intricati, di tutte quelle fughe di sepolcri, di tutte quelle ombre informi che avete visto allungarsi sulle pareti, di tutti quei passi misteriosi che v'è parso d'udire, di tutte quelle occhiaie vuote che v'hanno guardato. Ma basta anche allora il nome di una fanciulla sconosciuta, con una rozza palma disegnata accanto, e quella semplice aggiunta:-Martire-scolpita a caratteri ineguali nel sasso, a rimettervi nello stato d'animo di poco prima, a ridestarvi tutto quanto di più dolce e di più luminoso avete sentito e sognato nei giorni più puri della fanciullezza davanti alla immagine grande e candida di Cristo. La vostra mente trascorre da quella in cui v'aggirate alle altre necropoli,-alle altre quaranta già dissepolte,-a quelle innumerevoli non ancora esplorate,-spazia per tutta la distesa e a tutte le profondità della enorme città sotterranea che ospitò milioni di morti e abbracciò la cinta di Roma, e sentite
viva mi percosse in viso, il lumicino d
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