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Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante (vol. 2 of 3)

Chapter 3 No.3

Word Count: 6766    |    Released on: 06/12/2017

Lett

. XX

rovarsi nel terzo cerchio dello ?nferno. E fa in questo canto l?autore cinque cose: nella prima discrive la qualitá del luogo; nella seconda dice quello che Cerbero demonio facesse, vedendogli, e come da Virgilio chetato fosse; nella terza pone come trovasse un fiorentino, e che da lui sapesse qual peccato quivi si puniva, e altr

nati?, di madonna Francesca e di Polo, ?Che di tristizia tutto mi confuse?: la compassione avuta della loro misera fortuna; ?Nuovi tormenti?, non quegli li quali nel secondo cerchio aveva veduti, ma altri, li quali dice ?nuovi?, quanto a s

coloro a? quali addosso cade: ?Regola e qualitá mai non l?è nuova?, sempre cade d?un modo. E poi discrive qual sia la qualitá di questa piova, dicendo: ?Grandine grossa, ed acqua tinta e neve?. Come che queste tre cose, causate da? vapori caldi e umidi e da aere freddo, nell?a

peccatori che in questo terzo cerchio sono, discrivendo la qualitá della forma sua dicendo: ?Con tre gole?, percioché tre capi avea, ?caninamente latra?; e in questo atto dimostra lui essere cane, come i poeti il discrivono; ?Sopra la gente, che quivi è sommersa? sotto la grandine e l?acqua e la

i fanno all?altro schermo?, questi spiriti dannati: ?Volgonsi spesso?, mostrando in questo che gravemente gli offenda la pioggia; e perciò, come alquanto hanno dal

uno acconcio [comune], trasmutata la chiesa in altra parte, e il luogo rimaso comune, chiamasi ?profano?; cosí si può dire, degli spiriti dannati, essere stati alcuna volta sacri, mentre seguirono la via della veritá, percioché, mentre

fare i cani, quando uomo o altro animale vogliono spaventare: innanzi ad ogni altra cosa gli mostrano i denti. Il che aver fatto Cerbero verso Virgilio e verso lui dimostra qui l?autore, dicendo: ?Quando ci scòrse?, cioè ci vide venire, ?Cerbero, il gran vermo? (pone l?autore questo nome a Cerbero di ?vermo? dal luogo ove il trova, cioè sott

e alcuna cosa con la grandezza della mano misura, ?Prese la terra, e con piene le pugna?; come la mano aperta si chiama ?spa

e s?usi in qualunque cosa l?uom vede con aspettazione disiderare; ed è questo atto proprio di cani, li quali davanti altrui stanno quando altri mangia. ?E si racqueta?, sanza piú abbaiare, ?poi che ?l pasto morde?, cioè quello che gittato gli è da mangiare, ?Che solo a divorarlo intende e pugna; Cotai si fec

ingens la trat

rso recubans i

ere videns iam

m et medicalis

ame rabida tria

am, atque imman

que ingens exten

o si punisca: e, oltre a ciò, d?alcune cose addomandato da lui, il dichiara. Dice adunque: ?Noi passavam?, Virgilio ed io, ?su per l?ombre ch?adona?, cioè pr

fa, accioché piú leggiermente inteso sia, figurando essere corporee le cose che incorporee sono e i loro supplici: la qual cosa non si potrebbe far tanto che bastevole fosse, se questa maniera non tenesse. Nondimeno mostra che,

a, ch?a seder si levò?, sí che appare che anche questa una giaceva c

ragione è questa, che-?Tu fosti prima fatto?, cioè creato e nato, ?ch?io disfatto?,-cioè che io morissi, percioché, nella morte, questa composizione, che noi chiamiamo ?uomo?, si disfá per lo partimen

te?, cioè del mio ricordo; e tiratane fuor ?Sí, che non par ch?io ti vedessi mai. Ma?, poiché io non me ne ricordo, ?dimmi chi tu se?, che ?n sí dolen

a quale gittò molto danno alla cittá, e massimamente a quella parte alla quale era portata; e questa era la ?nvidia, la quale portava la famiglia de? Donati alla famiglia de? Cerchi; percioché dove i Donati erano delle sustanze temporali anzi disagiati gentiliuomini che no, vedendosi tutto dí davanti, sí come vicini in cittá e in contado, la famiglia de? Cerchi, li quali in quei tempi erano mercatanti grandissimi, e tutti ricchi e mo

z.

ra, esso medesimo s?invitava. Ed era per questo vizio notissimo uomo a tutti i fiorentini; senza che, fuor di questo, egli era costumato uomo, secondo la sua condizione, ed eloquente e affabile e di buon sentimento; per le quali cose era assai volentieri da qualunque gentileuomo ricevuto. ?Per la dannosa colpa della gola, Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco?; cioè in questo tormento mi rompo. Pioveva quivi, come di sopra è detto, grandin

? che tu credessi che io solo fossi nel mondo stato ghiotto, perciò ?Che tutte queste?, le quali tu vedi in questo luogo dintorno

maculato, ma pure alcuna volta essere stato da lui per appetito incitato, e perciò non pena, ma alcuna compassione in rimorsione del suo non pieno peccato ne dimostra. E però segue: ?Ma dimmi, se tu sai, a che?, fine, ?verranno i cittadin?, cioè i fiorentini, ?della cittá partita?; peroché in que? tempi Firenze era tutta divisa in due sètte, delle quali l?una si chiamavano Bianchi e l?altra Neri; ed era caporale della setta de? Bianchi messer Vieri d

a tencione?, cioè dopo lunga riotta di parole, ?Verran

ell?altra a cavallo e bene in concio sopravvennero a questo ballo; e quivi primieramente cominciarono l?una parte a sospignere l?altra, e da questo vennero a sconce parole, e ultimamente, cominciatavisi una gran zuffa tra loro e lor seguaci e, dalle mani venuti a? ferri, molti vi furono fediti,

i, né gli careggiavano, come per avventura faceva la parte avversa, la quale era piú povera: ?Caccerá l?altra? parte. Né si vuole intendere qui che di Firenze cacciasse la parte Bianca la Nera, come che alcuni ne fosser mandati dal Comune in esilio, perché non avean di che pagare le condannagioni dagli uficiali del Comune fatte per li loro eccessi; ma intende l?autor qui che l

anca, n?andò messer Corso Donati in corte di Roma a papa Bonifazio ottavo, e con piú altri suoi aderenti pregarono il papa gli piacesse di muovere alcuno de? reali di Francia, il quale venisse a Firenze a doverla racconciare, poiché per messer Matteo d?Acquasparta cardinale e legato di papa non s?era potuta racconciare, non volendo i Bianchi ubbidire al detto legato. Per li prieghi de? quali, non avendo il papa potuto pacificare messer Vieri con messer Corso, per la superbia di messer Vieri; il papa mandò in Francia al re Filippo, il quale ad istanza del detto papa mandò di qua messer Carlo di Valois, suo fratello, il quale sott

di Firenze aver fatta papa Bonifazio, cioè d?aver mostrata igual tenerezza di ciascuna delle parti e, per dovergli porre in pace, avervi mandato il cardinal d?Acquasparta, e poi messer Carlo di Valois: ma ciò non essere stato vero, percioché l?animo tutto gli pendeva alla parte Nera; e questo era per la obbedienza mostrata in queste cose da messer Cor

í come lo stare fuori di casa sua in esilio, ?Come che di ciò? che io predico, ?pianga, e che n?adonti?, cioè tu Dante. Il quale, sí come altra volta è stato detto, fu della

ue che son giusti. Quali questi due si sieno, sarebbe grave lo ?ndovinare; nondimeno sono alcuni li quali, donde che egli sel traggano, che voglion dire essere st

itore; per che veggendo sé povero e messer Vieri ricco, gli portava invidia, come suole avvenire; ché sempre alle cose, le quali piú felici sono stimate, è portata invidia. [E, oltre a ciò, v?era la preeminenza dello stato, al quale generalmente tutti coloro, che in istato non si vedevano, portavano invidia: dalla quale invidia, stimolante coloro li quali ella ardeva, furono aguzzati gl?ingegni e sospinti a trovar delle vie e de? modi, per li quali la discordia s?avanzò, e poi ne seguí quello ch?è mostrato.] Il terzo vizio dice essere l?avarizia, la quale consiste in tenere piú stretto che non si conviene quello che l?uom possiede, e in disiderare piú che non bisogna altrui d?avere; e cosí può es

ali esso non toglie loro, quantunque queste creature, create da lui buone, poi diventino perverse. Percioché noi possiam manifestamente conoscere che, quantunque gli angeli, li quali per la loro superbia furon cacciati di paradiso, quantunque da lui della beatitudine privati fossero, non furon però privati della scienza, la quale nella loro creazione avea loro conceduta; o vero che questa non fu lor lasciata in alcuno lor bene, anzi in pena e in supplicio, percioché quanto piú sanno, tanto piú conoscono la gloria la quale per loro difetto perduta hanno, e per conseguente maggiore. supplicio sentono. E cosí similemente crea Nostro Signore l?anime nostre perfette e simiglianti a sé; e, quantunque esse per le loro malvage operazioni perdano il poter salire a? beni di vita eterna, non perdono perciò quelle dote che nella lor creazione furono lor concedute da Dio, quantunque

da lui:-Simonide, non salire sopra la nave, su la quale tu ti disponi d?andare, percioché ella perirá con quegli che su vi fieno in questo viaggio.-Per la qual cosa Simonide s?astenne; né molti dí passarono, che con certezza gli fu recitato quella nave esser perita. Non fu similemente non una volta, ma due, dimostrato nel sonno ad Astiage che ?l figliuolo, il quale di Mandane, sua unica figliuola, nascerebbe, il priverebbe dello imperio d?Asia? parendogli la prima volta che l?orina della figliuola allagasse tutta Asia, e la seconda che dalla parte genitale della figliuola usciva una vite, i palmiti e le frondi della quale adombravan tutta Asia. E di queste dimostrazioni si potrebbon narrare infinite, le quali per certo, senza divino lume, né potrebbe conoscer l?anima, né le potrebbe mostrare. Similmente ancora, secondo che dice Tullio nel preallegato libro, mostra l?anima molto della sua divinitá, quando gravissimamente infermi e debilitati siamo; percioché, quanto piú è il corpo debole, piú pare che sia il vigor dell?anima, e massimamente in quanto, per l?essere le forze corporali diminuite, non pare che possano gravar l?anima, come quando intere sono. E che l?anima mostri la sua divinitá vicina alla fine della vita del corpo, s?è assai volte, non dormendo, ma vegghiando veduto: e sí come esso Tullio recita sé da Possidonio, famoso filosofo, avere avuto, che uno chiamato Modio, morendo, aver nominato sei suoi equali amici, li quali disse dovere appresso di sé morire, esprimendo qual primo e qual secondo e qual terzo, e cos

tro alla veritá; ma dobbiam credere che, se per virtú di questa divinitá essa prevede alcuna felicitá d?alcuno, questo esse

omi: ?Farinata? degli Uberti ?e ?l Tegghiaio?, Aldobrandi, ?che f?r sí degni? d?onore, quanto è al giudicio de? volgari, li quali sempre secondo l?apparen

Firenze; e, perché i loro nomi paion degni di fama, di loro in sing

?ove sono?, se son qui con teco o se sono in altra parte, ?e fa? ch?io gli conosca?; quasi voglia dire: io non gli riconoscerei veggendogli, se non come io non riconosceva te, tanto il brutto tormento

Ei son?, coloro de? quali tu d

e quanto piú pecchiamo, in maggiore oscuritá divegnamo. E quinci dice Ciacco, coloro, de? quali l?autore domanda, essere tra ?l?anime piú nere?, cioè piú oscure, e soggiugne la cagione dicendo: ?Diverse colpe giú gli grava al fondo?. E dice ?diverse colpe?, percioché per lo disonesto peccato della sogdomia Tegghiaio Aldobrandi e lacopo Rusticucci son puniti dentr

goti ch?alla mente altrui mi rechi?, cioè mi ricordi. E qui ancora, per queste parole, possiam comprendere quanta sia la dolcezza della fama, la quale, quantunque alcun bene non potesse adoperare in costui, nondimeno non l?ha potuta, per tormento che egli abbi

poco?: atto è di coloro li quali, costretti da alcuna necessitá, piú non aspettan di vedere coloro che davanti gli sono; ?e poi chinò la testa. Cadde con essa a par degli altri ciechi?

rrá, e con altissima voce, quasi sia una tromba, e? dirá:-?Surgite, mortui, et venite ad iudicium?;-?Quando vedrá?, ed egli e gli altri dannati, ?la nimica podestá?, cioè Cristo, in cui il Padre ha commessa ogni podestá. E non vedranno i dannati Cristo nella maestá divina, ma il vedranno nella sua umanitá, e parrá loro lui essere turbato verso di loro, come contra nemici: [ma ciò non fia vero,

e e sua figura?, e questo non per lor forza, ma per divina potenza, [sará loro in questo cortese, non per lor bene o consolazione, ma accioché il corpo, il quale fu strumento dell?anima a commettere le colpe per le quali è dannata, sostenga insieme con quella tormento;] e, rip

e della pioggia?, la quale, essendo, come di sopra è detto, da se medesima sozza, piú sozza ancora diveniva per la terra, la qual putiva, ricevendo la pioggia; ?a passi lenti?, forse per lo ragionare, o per lo luogo che non pativa che molto prestamente

quali io veggio in queste anime dannate, ?Cresceranno ei dopo la gran sentenza?, data da Dio nell?ultimo

sto parergli le buone cose piacevoli e saporite, dove ad uno infermo, nel quale è molta meno perfezion che nel sano, parranno amare e spiacevoli; vedrem similmente un giovane sano con gravissima doglia sentire ogni piccola puntura, dove un gravemen

ranno piú perfetti, ma piú tosto diminuiti, dice l?autore: ?In vera perfezion giammai non vada?. Andrá adunque non in perfezione, ma in alcuna similitudine di perfezione, in quanto riavranno i corpi cosí come gli riavranno i beati; ma i beati gli riavranno in aumento di gloria, dove i dannati gli riavranno

?a tondo?, percioché ritondo è quello luogo, come molte volte è stato detto; ?Parlando piú assai ch?io non ridico?, pure intorno alla vita futura; ?Venimmo

vol cosa ad un ricco entrare in paradiso che ad un cammello entrare per la cruna dell?ago. [Le quali parole piú chiaramente che il testo non suona esponendo, secondo che ad alcun dottor piace, si deono intendere cosí: cioè essere in Ierusalem stata una porta chiamata Cruna d?ago, sí piccola, che senza scaricare della sua soma il cammello, entrar non vi potea, ma scaricato v?entra

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