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Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante (vol. 2 of 3)

Chapter 4 No.4

Word Count: 9936    |    Released on: 06/12/2017

Lett

z.

si puniscano. E dividesi questo canto in due parti principali: nella prima mostra l?autore esser puniti gli avari e? prodighi; nella seconda mostra esser puniti gl?iracondi e gli accidiosi. E comincia la seconda quivi: ?Or discendiamo ornai a maggior pièta?. La prima parte si divide in tre: nella prima, continuandosi alle cose prec

vato Plutone, ?il gran nemico?, che esso Plutone, come gli vide, admirative

mirazione; e non senza cagione, veggendo in uno uomo mortale l?autoritá divina, e di tanto signore, quanto è Iddio, il vicariato. E i greci ancora chiamavano i lor preti ?papas?, quasi ?ammirabili?: e ammirabili sono, in quanto possono del pane e del vino consecrar

ario? o ?trasgressore?, percioché egli è avversario della veritá, e nemico delle virtú de? santi uomini; e similmente si può vedere lui e

elle medesime parole ha a dimostr

tera, cioè ?a?; ed è ?alep? appo gli ebrei adverbium dolentis; e questo significato dicono avere questa lettera, percioché è la prima vo

gli il renda piú pronto al suo aiuto, si duole. O vogliam dire, seguendo le poetiche dimostrazioni, Plutone, ricordandosi che Teseo con Piritoo vivi discesero in inferno a rapire Proserpina, reina di quello, e poi, do

araviglia sono soprappresi. E, oltre a ciò, cominciò Pluto a gridare per ispaventar l?autore, sí come ne? cerchi superiori si son sforzati Minos

ibro Temporum, il nome suo fu Aidoneo. Fu costui dagli antichi chiamato re d?inferno, e la sua real cittá dissero essere chiamata Dite, e la sua moglie dissero essere Proserpina. Leon Pilato diceva essere stato un altro Pluto, figliuolo di Iasonio e di Cerere: de? quali quantunque qui siano

scienza sacerdotale, la quale allora era in grandissimo prezzo;] ?Disse, per confortarmi:-Non ti noccia La sua paura?, la quale egli o mostra d?avere in sé, o vuol mettere in te di sé; e dove della paura di Plutone dica, vuol mostrare l?autore per ciò esser da Virgilio confortato, peroché generalme

?, la quale continuamente, con inestinguibile ardore di piú avere, ti sollecita e infesta. ?Non è senza cagion l?andare?, di costui, ?al cupo?, cioè al profondo inferno, vedendo: ?Vuolsi?, da Dio ch?egli vada, ?nell?alto?, cioè in cielo, ?lá dove Michele?, arcangelo, ?Fe? la vendetta del superbo strupo?,-cioè del Lucifero, il quale, come nell?Ap

rchio, ?le gonfiate vele?, cioè che come le vele gonfiate dal vento soperchio, ?Caggiono avvolte? e avviluppate, ?poi che l?albe

?, vinta e abbattuta la rabbia di Plutone, ?scendemmo nella quarta lacca?, cioè parte d?inferno, cosí dinominandola per consonare alla precedente e alla seguente rima: ?Pigliando piú della dolente ripa?, cioè mettendo

nte nuove travaglie e pene?, cioè diversi tormenti e noie, ?quante io viddi? in questo luogo? ?E per che?, cioè per le quali, ?nostra colpa?, cioè il nostro male adoperare peccando, ?se ne scipa??

ione, che a ciò inducono, è che dicono vedersi manifestamente, in quella parte di questi due monti che si spartí, grandissime pietre nelle rotture loro essere corrispondenti, cioè quelle d?Appennino a quelle che sono in Peloro, ed e converso. E, come di sopra è detto, questo mare cosí stretto è impetuosissimo e pericolosissimo molto: e la ragione è, percioché, quando avviene che venti marini traggano [come è libeccio e ponente, e ancora maestro, che non è marino], essi sospingono il mare impetuosamente verso questo fare, e per questo fare verso il mare di Grecia. E, se allora avviene che il mare di verso Grecia, per lo flottare del mare Oceano, il quale due volte si fa ogni dí naturale, [che sospignendo la forza de? venti marini il mare verso la Grecia, ed il mare per lo flotto] si ritragga in verso il mare Mediterraneo, scontrandosi questi due movimenti contrari, con tanta forza si percuotono e rompono, che quasi infino al cielo pare

di diverse genti o peccatori convenirsi scontrare. E questo intende in quanto dice: ?Cosí conviene che qui?, cioè in questo quarto cerchio

per la fatica e per lo dolore urlando, sí come appresso piú chiaro si dimostrerá, ?Voltando pesi? gravissimi ?per forza di poppa?, cioè del petto (ponendo qui la parte per lo tutto), ?Percotevansi incontro?, cioè l?un contro all?altro con questi pesi, li quali per forza voltavano, ?e poscia?, che percossi s?erano, ?pur lí?, cioè in quello me

iunta, e quivi percossisi, e dette l?un contro all?altro le parole di sopra dette, ciascuna parte si rivolgeva indietro, e veniva al punto del cerchio donde prima partita s?era; e quivi ancora con l?altra, che in una mede

è:-?Perché tieni?-E perché burli??.-Il quale l?autore chiama ?metro?, non perché metro sia, ma largamente parlando, come il piú volgarmente si fa, ogni orazione [o brieve o lunga] misurata o non misurata, è chiamata

, ?Per lo suo mezzo cerchio?, cioè per quel mezzo cerchio il quale a lui era dalla divina giustizia stabilito, ?all?altra gios

zia. E in questo è da comprendere invano esser da noi conosciuti i vizi e? peccati, se, sentendoci inviluppati in quelli o poco o molto, noi non abbiam dolore e compunzione. Né osta il dire: come avea l?autore compunzione dell?essere avaro, che ancora, come nelle seguenti parole appare, non sapea chi essi si fossero? percioché qui usa l?autore una figura chiamata ?preoccupazione?. ?Dissi:-Maestro mio?. Qui domanda l?autore Vir

alora avviene per natura, e talora per accidente: per accidente avviene per difetto le piú delle volte delle balie, le quali questi cotali, essendo piccioli fanciulli, hanno avuti a nodrire, ponendo loro la notte un lume di traverso o di sopra a quella parte ove tengon la testa; o esse medesime, come spesse volte fanno, stando loro sopra capo, gl?inducono a guatarsi indietro, e i fanciulli, vaghi della luce, torcono gli occhi, e sí in quella parte dove il lume veggono, e, non potendosi muovere, si sfor

nell?una parte né nell?altra servarono alcuna misura, [liberalmente spendendo, dove e come e quanto e in cui si convenia]. ?Assai la voce lor chiaro l?abbaia?, cioè il manifesta quando dicono:-?Perché tieni?-E perché burli??,-usando questo vocabolo ?abbaia? nell?anime de? miseri in detestazion di loro, il quale è proprio de? cani; ?Quando vengono a? due punti del cerchio

non volendo intendere la sua santa dottrina, e vedendolo ferventemente predicare dinanzi a? prencipi e a? popoli, li quali quella in odio aveano, estimavano che egli questo facesse come uomo che fuor del senno fosse. Altri vogliono che la cherica si porti in segno di degnitá, in dimostrazione che coloro, li quali la portano, sieno piú degni che gli altr

ltre cherici, li quali si chiamano ?cardinali?, non sono però in preeminenza né in oficio né in abito da comparare a quegli della chiesa di Roma, percioché questi per eccellenza portano il cappello rosso, e hanno a rappresentare nella chiesa di Dio il sacro collegio de? settantadue discepoli, li quali per coaiutori degli apostoli furono primieramente instituiti. E il cardinalato di Roma è il piú alto e il piú sublime grado, appresso al papa, che sia nella Chiesa. E, percioché a loro s?appartiene, insieme col papa, a diliber

tiene quello che l?uom possiede: della quale piú distesamente diremo, dove discriveremo l?allegorico senso della parte presente di questo canto. Questo vizio dice l?autore usare ?il suo soperchio?, cioè il disiderare piú che non bisogn

con questo vizio insieme punircisi l?opposito dell?avarizia, cioè la prodigalitá, la quale è il superiore estremo di liberalitá: e come l?avarizia consiste in tenere stretto quello che spendere bene e dar

utoritá, e molto conosciuti, come noi sappiamo che sono i papi e i cardinali e i signori e gli altri che in questi due peccati peccano (o vogliam dire: percioché l?

ragionevole, ?or gli fa bruni?, cioè oscuri e non degni d?alcun nome. ?In eterno verranno alli due cozzi?, cioè a? due punti del cerchio, li quali di sopra son dimostrati, dove insieme si percuotono. ?Questi?, cioè gli avari, li quali appare essere dall?un dei lati, ?risurgeranno dal

sia utile; sono solamente alcuno ornamento al capo, e per questo ne son dati dalla natura; e cosí dirittamente sono le sustanze temporali, le quali per sé medesime alcuna cosa prestar non possono alla salute dell?anime nostre, ma prestano alcuno ornament

é in inferno dannati sono, ?e? hannogli gli due detti vizi ?posti a questa zuffa?, cioè di percuotersi insieme co? pesi i quali volgono, e col rimproverarsi l?una parte all?altra le

osa intervenuta per riotta o per quistione, sí come è l?essersi l?uno uomo accapigliato con l?altro, per la qual capiglia, i capelli son rabbuffati, cioè disordinati, e ancora i vestimenti talvolta: e però ne vuole l?autore in queste parole dimostrare le quistioni, i piati, le guerre e molte altre male venture, le quali tutto il dí gli uomini hanno insieme per li crediti, per l?ereditá, per le occupazioni e per li mal regolati disidèri, venendo quinci a dimostrare quanto sieno le fatiche vane, che intorno all?acquisto delle ricchezze si mettono. E dice: ?Ché tutto l?oro, ch?è sotto la luna?, cioè nel mondo,

. XX

o l?oro del mondo non potrebbe fare riposare una di queste anime, e per questo m?hai mostrato quanto sia vana la fatica di coloro li quali, posta la speranza loro in questi beni commessi alla fortuna, intorno all?acquistarne

distribuirgli, e non donna in donargli, sí come appare nelle parole seguenti. ?Or vo? che tu mia sentenza ne ?mbocche?, cioè che tu ne senta quello che ne sento io: e dice ?ne ?mbocche?, cioè riceva, non con la bocca corporale, la quale quello

ne che ogni cielo abbia una intelligenza, la quale il muove con ordine certo e perpetuo: e che l?autore questo senta, non solamente qui, ma in una delle sue canzone distese dimostra, dicendo: ?Voi, che, ?ntendendo, il terzo ciel movete? ecc. E queste cotali intelligenzie muovono i cieli loro commessi da Dio, ?Sí ch?ogni parte?, della

essi alcun salutifero frutto non si truova né stabilitá; e volle che questa cotal duce, cioè ministra, tramutasse questi beni vani ?Di gente in gente?, cioè d?una nazione in un?altra, sí come noi leggiamo essere infinite volte avvenuto ne? tempi passati nelle gran cose, non che nelle minori. Noi leggiamo il reame e l?imperio degli assiri esser trapassato ne? medi, e de? medi ne? persi, e de? persi ne? greci, e de?

veggiamo nella cittá nostra piena di queste trasmutazioni. Furon de? nostri dí i Cerchi, i Donati, i Tosinghi e altri in tanto stato nella nostra cittá, che essi come volevano guidavano le piccole cose e le grandi secondo il piacer loro, ove oggi appena è ricordo di loro; ed è questa grandigia trapassata in famiglie, delle quali allora non era alcun ricordo. E cosí da quegli, che ora son

ani, ?come in erba l?angue?. Anguis è una spezie di serpenti, la quale ha la pelle verde, e volentieri e massimamente la state, abita ne? prati fra l?erbe; e percioché egli è con l?erbe d?un medesimo colore, rade volte fra quelle è prima veduto

stiage re de? medi, in due sogni, che il figliuolo, il quale ancora non era generato di Mandane, sua figliuola, il dovea privare dello ?mperio d?Asia: né gli giovò il maritarla ad uomo non degno di moglie nata di real sangue, né il far poi gittare il figliuol natone alle fiere, che quello non avvenisse giá nel consiglio di questa ministra fermato. Non poterono l?avere cacciato del regno d?Alba in villa Numitore, d?avere ucciso Lauso, suo figliuolo, d?aver fatta vergine vestale Ilia, sua figliuola, adop

tte sono, sí come son queste terrene da ordinato movimento de? cieli produtte, secondo la potenzia de? quali esse si permutano, non altramente che se da giudicio dato si movessero; e cosí par questa

strando la fortuna aver sentimento e deitá; conciosiacosaché, come appresso apparirá, questi accidenti non possano avvenire in quella cosa la quale qui l?autore nomina ?fortuna?, se poeticamente fingendo non s?attribuiscono. Dalle quali fizioni è venuto che alcuni in forma d?una donna dipingono questo nome di fortuna, e fascianle gli occhi, e fannole volgere una ruota, sí c

uole intendere l?autore i movimenti di questa ministra continui essere di necessitá: [le quali parole, non bene intese, potrebbon generare errore, il quale con la grazia di Dio si torrá via qui appresso, dove, esplicato il testo a questa ministra pertenente, dimostrerò quello che intendo essere quest

o rammarichii dicendo sé esser mal trattati da lei, dove sono trattati bene e molto meglio che essi non son degni. ?Ma ella s?è beata?, cioè eterna, ?e ciò non ode?, cioè le bestemmie e? rammarichii: ?Con l?altre prime creat

n ministerio vi bisogni, se non essa medesima operazion de? cieli. E percioché di questo effetto sono propinquissima causa i cieli, e sia opinion de? filosofi il causato, almeno in certe parti, esser simile al causante, sí come le piú volte suole esser simigliante il figliuolo al padre; pare che, se i cieli sono in continuo moto, che l?universale loro effetto, il quale è intorno alle cose inferiori e temporali, similmente debba essere in continuo movimento: e se l?universale effetto è in movimento continuo, le sue particularitá similmente in continuo movimento saranno; e cosí seguirá le cose governate essere convenienti e conformi alla cosa che le governa, causa e dispone; e per conseguente quelle ottimamente dover seguire la disposizion data dal governante. E percioché egli non par possibile cosa che gl?ingegni umani comprendano le particularitá infinite di questo universale effetto de? cieli: sí come noi possiam comprendere nelle continue fatiche, e le piú delle volte vane degli strologi, li quali, quantunque l?arte sia da sé vera e da certi fondamenti fermata, nondimeno non paion

osizione delle cose, le quali esse operazioni de? cieli ricevono. Domeneddio creò la terra stabile e perpetua, e però non atta ad alcun moto per sé medesima; ma, se dalle mani degli uomini ella è messa in alcuna opera, e tratta della sua stabilitá, adoperano i cieli sopra questa materia tarda e g

amiamo ?buona fortuna? e ?mala fortuna?. E furono in tanta semplicitá, anzi sciocchezza, i gentili, che, non avendo riguardo alla sua origine, la stimarono una singular deitá, in cui fosse potenza

let, fies de

dem, fies de con

non sopra i movimenti delle cose causate da? cieli, delle quali l?anime nostre non sono, percioché sopra i cieli son create da Dio e infuse ne? corpi nostri, dotate di ragione, di volontá e di libero arbitrio; e perciò niuna necessitá in noi può causa

est, si sit pru

rtuna, deam, co

tito la sua volubilitá che la forza del nostro libero arbitrio, per lo qu

sorelle chiamate ?parche?, o fate che vogliam dire, cioè Cloto, Lachesis e Atropos, alle quali la concezione e il nascimento di ciascun mortale, e similmente la vita e la morte attribuiscono, fosse questa Fortuna; e quella, di queste tre, vogliono che sia Lachesis, cioè quella la qual dicono che, nascendo noi, ne riceve e nutrica in vari e molti mutamenti, infino al dí

stelle, i pianeti, gli elementi, i fiumi e le fonti, li quali tutti chiamavano ?dèi?: e però vuol l?autore sentire per questa deitá la perpetuitá di questo effetto, il quale tanto dobbiam credere che debba durare quant

. XX

quinto cerchio dello ?nferno, dove dice trovò la padule chiamata Stige; nella seconda dimostra in questo quinto cerchio esser tormentati due spezie di peccatori: ira

egli era passata mezza notte; percioché ogni stella, la quale sovra l?orizzonte orientale della regione cominciava a salire in su il farsi sera (come era quando si mossono, ed egli stesso il dimostra, dicendo: ?Lo giorno se n?andava?), era salita infino al cerchio della mezza notte, donde, poiché pervenute vi sono, cominciano, secondando il ciel

propinquo al nero, e perciò, se questa acqua era piú oscura che il color perso, séguita che ella doveva esser nerissima. [Pigliano l?acque i colori, i sapori, i calori e l?altre qualitá nel ventre della terra: ut ?pontica?, quasi nera per lo luogo che ha a dar quel colore; ?altheana?, quasi lattea, perché passa per luoghi piombosi; l?olio petroio d?Allacone, l?acque di Volterra, l?acque d?Ambra, l?acqua da Santa

lo, ?fa una palude?, ragunandosi in alcuna parte concava del luogo, donde l?acqua non aveva cosí tosto l?uscita, ?c?ha nome Stige?. E quinci d

gliuola del fiume chiamato Acheronte e della Terra. E, secondo che dice Alberigo nella sua Poetria, questa Stige fu nutrice e albergatr

iamque

e timent et fal

ato infino a certo tempo del divino beveraggio; il quale i poeti chiamano ?néttare? cioè dolcissimo e soave. E questa onorificenzia vogliono esserle stata conceduta, percioché l

Pare ad Alberigo che colui, il quale è senza allegrezza, agevolmente divenga in tristizia, anzi quasi par di necessitá che egli in tristizia divenga; e cosí dall?essere senza allegrezza nasce la tristizia. Che ella sia figliuola della Terra, par che proceda da ragion naturale, peroché, conciosiacosaché

a, mostra Virgilio d?avere ottimamente sentito nel sesto del suo Eneida, lá dove egli manda i perfidi e ostinati uomini in quella parte dello ?nferno, la quale esso chiama Tartaro, nella quale non è alcuna redenzione; e gli altri, li quali hanno sofferto tristizia e pena per le lor colpe, mena ne? campi Elisi, cioè in quello luogo ove egli intende che sieno le sedie de? beati. O vogliam dire quello che per avventura piú tosto i poeti sentirono, gl?iddii, i quali costei nutrica e alberga, essere il sole e le stelle, le quali alcuna volta ne vanno in Egitto: e questo è nel tempo di verno, quando il sole, essendo rimoto da noi, è in quella parte del zodiaco, la quale gli astrologhi chiamano ?solestizio antartico?. Percioché, oltre agli egizi meridionali in quelle parti abitanti, esso fa quello che gli astrologhi chiamano ?zenit capitis?; e in questo tempo sono nutriti il sole e le stelle dalla palude di Stige, secondo l?o

re; e questi cotali sono gl?iddii, i quali i gentili dicevano esser felici: e perciò, non avendo costoro che desiderare, resta che giurino per alcuna cosa la quale sia loro contraria; e questa è la tristizia. E che chi si spergiura sia privato del divin beveraggio, credo

temente combattere, ma per lo meditare assiduo e faticarsi intorno alle cose opportune, in far buona guardia, in ispiare i mutamenti e gli andamenti de? nemi

dice ?fangose?, percioché le padule sono generalmente tutte nelli lor fondi piene di loto e di fango, per l?acqua che sta oziosa e non mena via quel cotal fango, come quelle fanno che corrono, e perciò chi in esse si mescola di necessitá è fangoso: ?Ignude tutte, e con sembiante offeso?, per lo tormento sí del bollor dell?acqua, e sí ancora delle percosse

ha gente che sospira?, cioè che si duole, ?E?, sospirando, ?fanno pullular quest?acqua al summo?. Noi diciamo nell?acqua ?pullulare? quelle gallozzole o bollori, li quali noi veggiamo fare all?acqua, o per aere che vi sia sotto racchiusa e esca fuori, o pe

li quali ?dicon:-Tristi fummo, Nell?aer dolce, che del sol s?allegra?, cioè si fa bella e chiara, ?Portando dentro?, nel petto nostro, ?accidioso fummo?, cioè il vizio dell?accidia, il qual tiene gli uomini cosí intenebrati e oscuri come il fummo tiene quelle parti nelle quali egli si ravvolge. Poi segue: e percioché noi fumm

ti peccatori, piangendo e dolendosi, dicono in modo d?inno, contiene la lor miseria e la lor pena. ?Si gorgoglian nella strozza?. La ?strozza? chiamiam noi quella canna la qual muove dal polmone e vien sú insino al palato, e quindi spiriamo e abbiamo la voce, nella quale se alcuna soperchia umiditá è intrachiusa, non può la voce nostra venir fuori netta ed espedi

oè gran quantitá vòlta in cerchio, a guisa d?un arco. E chiamala ?pozza?, il quale è proprio nome di piccole ragunanze d?acqua; e questo, come altra volta è detto, è conceduto a? poeti (cioè d?usare un vocabolo per un altro), per la stretta legge de? versi, della quale uscir non osano. E quinci d

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