icon 0
icon TOP UP
rightIcon
icon Reading History
rightIcon
icon Log out
rightIcon
icon Get the APP
rightIcon

Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante (vol. 2 of 3)

Chapter 2 No.2

Word Count: 15093    |    Released on: 06/12/2017

Lett

ette, ne mostra come nel secondo cerchio dello ?nferno discendesse. E fa l?autore in questo canto sei cose: esso primieramente, come detto è, si continua alle precedenti cose, mostrando dove divenuto sia; nella seconda parte dimostra aver trovato un demonio esaminatore delle colpe de? peccatori; nella terza dice qual peccato in quel cerchio si punisca e in che supplicio; nella quarta nomina

cinghia?, cioè gira. E davanti è mostrata la cagion perché: la quale è percioché la forma dello ?nferno è ritonda, e, quanto piú in esso si discende, tanto viene piú ristrignendo, tanto che ella diviene aguta in sul centro della terra. ?E tanto ha piú dolor?, in questo cerchio che nel

la sua vera forma d?uomo, giacque con lei, e in processo di tempo n?ebbe tre figliuoli, Minos e Radamanto e Sarpedone. Minos, divenuto a virile etá, prese per moglie una bellissima giovane chiamata Pasife, figliuola del Sole, e di lei gerrerò figliuoli e figliuole, intra? quali fu Androgeo, giovane di mirabile stificanza: il quale, ne? giuochi palestrici essendo artificioso molto, e di corporal forza oltre ad ogni altro valoroso, percioché ogni uomo vincea, fu per invidia dagli ateniesi e da? megaresi ucciso. Per la qual cosa Minos, avendo fatto grande apparecchiamento di navilio e d?uomini d?arme per andare a vendicarlo, e volendo, avanti che andasse, sagrificare al padre, cioè a Giove, il quale il bestiale error degli antichi crede a essere iddio del cielo, il pregò che alcuna ostia gli mandasse, la qual fosse degna de? suoi altari. Per la qual cosa Giove gli mandò un toro bianchissimo, e tanto bello quanto piú essere potesse. Il quale come Minos vide, dilettatosi della sua bellezza, uscitogli di mente quello per che ricevuto l?avea, il volle piú tosto preporre a? suoi armenti, per averne allievi, che ucciderlo per ostia; e, fatto il sacrificio d?un altro, andò a dare opera alla sua guerra. E, assaliti prima i megaresi, e quegli per malvagitá di Scilla, figliuola di Niso, re de? megaresi, avendosi sottomessi; fatta poi grandissima guerra agli ateniesi, quegli similmente vinse, e alla sua signoria gli sottomise e a detestabile servitudine gli si fece obbligati; tra l?altre cose imponendo loro che ogni anno gli dovesson mandare in Creti sette liberi e nobili garzoni, li quali esso donasse in guiderdone a colui che vincitor fosse ne? giuochi palestrici, li quali in anniversario d?Androgeo avea constituiti. Ma, in questo mezzo tempo che esso gli ateniesi guerreggiava, avvenne, e per l?ira conceputa da Giove contro a Minos, e per l?odio il quale Venere portava a tutta la schiatta del Sole, il quale il suo adulterio e di Marte aveva fatto palese, che Pasife s?innamorò del bel toro, il qual Minos s?avea riservato, senza averlo sacrificato

s urnam movet:

t, vitasque et cr

necessitá di rimuover la corteccia di quella, e lasciare nudo il senso allegorico, nel quale appa

reti, secondo che scrive Eusebio in libro Temporum, la prese per moglie, ed ébbene quegli figliuoli, de? quali di sopra è detto. E, se cosí fu, possiam comprendere aver gli antichi ficto Minos esser figliuolo di Giove, o per ampliar la gloria della sua progenie, o perché nelle sue operazioni si mostrò simile a quel pianeto, il quale noi chiamiamo Giove. Ed esso, tra l?altre sue condizioni, ebbe questa, che esso fu a? sudditi equale e diritto uomo, e servò severissimamente giustizia in tutti, e diede leggi a? cretensi, le quali mai piú avute non aveano. E, accioché a rozzo popolo fossero piú accette, solo se n?andava in una spelunca, e in quella, poi che composto avea ciò che immaginava esser bene e utilitá de? sudditi suoi, uscendo fuori, mostrava al popolo sé, quello che scritto o composto avea, avere avuto da Giove suo pad

pare lui in questo luogo esser posto per giudice, percioché a? giudici appartiene l?esaminare delle cose commesse. E séguita: ?nell?entrata?. E qui discrive il luogo conveniente a quell?ufizio, accioché alcuna non possa passare, senza esser sottentrata alla sua esaminazione. ?Giudica?. Séguita qui l?autore l?ordine giudiciario; percioché primieramente conviene che il discreto giudice esamini i meriti della quistione, e dopo la esaminazione giudichi quell

za alcuna riservazion fare delle sue colpe. La qual cosa, cioè riservarsi e nascondere delle sue colpe, eziandio volendo, non potrebbe fare, percioché non veggiono i giudici spirituali con quegli occhi che veggiam noi, ma prestamente e senza alcun velame veggion ciò che al loro uficio appartiene. ?E quel cognoscitor delle peccata?, cioè Minos; dimostr

ll?inferno, piú sono i cerchi stretti e i tormenti maggiori. E, percioché la faccenda di costui è grande intorno all?esaminare e al giudicar che fa singularmente di ciascuna anima; per dar piú spaccio alle sue sentenze, ha quel modo trov

?Vanno a vicenda?, cioè ordinatamente l?una appresso all?altra, come venute sono, ?ciascuna al giudizio?, che di loro dee esser dato; e quivi, ?D

ad alcuno che se medesimo non abbia saputo salvare. Quasi voglia dire:-Virgilio non ha saputo salvar sé, dunque come credi tu che egli salvi te?-Sentiva giá questo dimonio per la natura sua, la quale, come che per lo peccato da lui commesso fosse di grazia privata, non fu però privata di scienza, che l?autor non doveva quel cammin far vivo se non per sua salute, dal quale esso dimonio l?avrebbe volentieri frastornato. ?Non t?inganni l?ampiezza dell?entrare?,-la quale è libera ed espedita a tutti quegli che dentro entrar ci vogliono, ma l?uscire non è cosí. E par qui che

tore a buon fine; ma sentendo l?autore, forse per ostupefazione, non aver pronto che rispondere, disse egli con parole alquanto austere: O Minos, ?perché pu

i; il quale, poi che in questa conclusione è venuto, dice queste parole: ?Sententiam tene, linguam comprime?; volendo che noi tegnamo la sentenza, ma schifiamo il vocabolo, cioè di chiamar ?fato? la divina disposizione. E questo non fu ne? suoi tempi senza cagione: la qual fu, percioché allora venendo moltitudine di gentili alla fede cattolica, e però ancor tenera surgendo la cristiana religione, accioché ogni cosa in quanto si potesse si

uole? Vuolsi ?colá dove si puote Ciò che si vuole?, cioè nella mente divina, la qual sola puote ciò che ella vuo

sto luogo era venuto per tutto quasi il primo cerchio, senza udire alcun rumore di pianti o di lamenti, dice: ?Ora incomincian le dolenti note A farmisi sentire?, cioè le varietá de? pianti, le quali si facevano al suo audito sentire; ?or son venuto Lá dove molto pianto mi per

e: ?come fa ?l mar per tempesta, Se da contrari venti è combattuto?, cioè infestato. Il che assai volte addiviene, che la contrarietá de? venti, che alcuna volta spirano, son cagione delle tempeste del mare. E chiamasi questo romore del mare impropriamente ?mugghiare?: e, perc

anta forza, che, per quella parte dove discorre, egli abbatte case, egli divelle e schianta alberi, egli percuote e uccide uomini e animali. è il vero che questo non è universale, né dura molto; anzi vicino al luogo dove è creato, a guisa d?una striscia discorre, e quanto piú dal suo principio si dilunga, piú divien debole, infino a tanto che infra poco tempo si risolve tutto. Questo adunque mi pare che l?autor voglia sentire per questa ?bufera?: e benché nella concavitá della terra questo vento causar non si possa, de?si intendere in questo lu

questo vento procede, ?Quivi le strida?, comincian grandissime, ?il compianto e ?l lamento?, de? miseri; ?Bestemmian quivi la virtú divina?. In questo bestemmiare

credere, ?che a cosí fatto tormento?, come disegnato è, ?Eran dannati i peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento?, cioè alla volontá. E, come che questo si possa d?ogni peccatore i

i, secondo lor natura, di convenirsi insieme e di passare dalle regioni fredde nelle piú calde per loro scampo, e in quelle ne vanno, ?a schiera larga e piena?, cioè molti adunati insieme: ?Cosí quel fiato?, cioè quella bufera, ne porta ?gli spiriti mali?, cioè dannati, li quali a grandi schiere per quel cerchio, ?Di qua, di lá, di giú, di su gli mena?, senza serv

o preso, cioè ?lai?, per parlar francesco, nel quale si chiamano ?lai? certi versi in forma di lamentazione nel lor volgare composti. ?Facendo in aer di sé?, medesimi volando, ?lunga riga?, percioché stendono il collo, il quale essi hanno lungo, innanzi, e le gambe, le quali similmente hanno lunghe, e cos

molte nazioni, nelle quali erano molti e diversi modi di parlare. ?A vizio di lussuria fu sí rotta?, sí inchinevole ?Che il libito?, cioè il beneplacito, intorno a ciò che a quel vizio apparteneva, ?fe? licito?, cioè concedette che lecito fosse in tutte le nazioni che ella signoreggiava; e questo fece ?in sua legge?, cioè per sua legge. E appresso dice la cagione perché questa legge cosí abom

. E in questa forma, dicendo sé esser Ninia, se medesima presentò agli eserciti; e cosí, avendo acquistata real maestá, severissimamente servò la disciplina militare, e con virile animo ardí non solamente di servare lo ?mperio acquistato da Nino, ma ancora d?accrescerlo; e a niuna fatica, che robusto uomo debba poter sofferire, perdonando, si sottomise Etiopia, e assalí India, nella quale alcun altro mortale, fuor che il marito, non era stato insino a quel tempo ardito d?entrar con arme. Ed essendole in molte cose ben succeduto del suo ardire, non dubitò di manifestarsi esser Semiramis, e non Ninia, a? suoi eserciti. Essa, oltre alle predette cose, pervenuta in Babillonia, antichissima cittá da Nembrot edificata, e veggendola in grandissima diminuzione divenuta, a quella tutte le mura riedificò di mattoni, e quelle rifece di mirabile grossezza, d?altezza e di circúito. E, parendole aver molto fatto, e posto tutto il suo imperio in riposo, tutta si diede alla lascivia carnale, ogni arte usando che usar possono le femmine per piacere. E, tra l?altre volte, facendosi ella con grandissima diligenza le trecce, avvenne che, avendo ella giá composta l?una, le fu raccontato che Babillonia le s?era ribellata e venuta nella signoria d?un suo figliastro. La qual cosa ella sí impazientemente ascoltò, che, lasciato stare il componimento delle sue trecce, e i pettini e gli specchi gittati via, prese subitamente l?armi, e, convocati i suoi eserciti, con velocissimo corso n?andò a Babillonia, e quella assediò; né mai dall?assedio si mosse, infino a tanto che presa l?ebbe e rivocata sotto la sua signoria

billonia, non da Babillonia di Caldea, la qual Semiramis fece restaurare, ma da una Babillonia la quale è quasi nella estremitá mer

i che s?ancise amorosa?, cioè amando, ?E ruppe fede?, congiugn

, agevolmente s?accordarono a doverla seguire in qualunque parte ella diliberasse di fuggire. Dopo il quale diliberamento, piegate le prode delle navi a ponente, pervennero in Cipri, dove quelle vergini che alla marina trovarono, persolventi secondo il costume loro li primi gustamenti di Venere, a sollazzo ed eziandio a procrear figliuoli de? giovani che con lei erano, fece prendere e porre in su le navi; e, similmente, ammonito nel sonno un sacerdote di Giove, che in quella contrada era, con tutta la sua famiglia ne venne a lei, annunziando grandissime cose dover seguire, in onore della loro successione, di questa fuga. Poi quindi partitasi, e pervenuta nel lito affricano, costeggiando la marina de? massuli, in quel seno del mare entrò con le sue navi, dove ella poco appresso edificò la cittá di Cartagine. E quivi, estimando il luogo esser sicuro alle navi, per dare alcun riposo a? marinai faticati, prese terra: dove venendo quegli della contrada, quale per disiderio di vedere i forestieri, e quale per guadagnare recando delle sue derrate, cominciarono a contrarre insieme amistá. E, apparendo la dimora loro essere a grado a? paesani, ed essendone ancora confortati da quegli d?Utica, li quali similmente quivi di Fenicia eran venuti, quantunque Didone udisse per alcuni, che seguita l?avevano, Pigmaleone fieramente minacciarla; di niuna cosa spaventata, quivi diliberò di fermarsi. E, accioché alcuno non sospicasse lei alcuna gran cosa voler fare, non piú terreno che quanto potesse circundare una pelle di bue mercatò da quegli della contrada, la quale in molte parti minutissimamente fatta dividere, assai piú che alcuno estimato non avrebbe, occupò di terreno. E, quivi fatti e? fondamenti, fece edificare la cittá, la quale chiamò Cartagine. E, accioché piú animosamente e con maggior speranza i compagni adoperassono, a tutti fece mostrare i tesori, li quali essi credeano aver gittati in mare. Per la qual cosa subitamente le mura della cittá, le torri e? templi, il porto e gli edifici cittadini saliron su, e apparve non solamente la cittá esser bella, ma ancora potente e a difendersi e a far guerra. Ed essa, date le leggi e il modo del vivere al popol suo, onestamente vivendo, da tutti fu chiamata reina. Ed essendo per Affrica sparta la fama della sua bellezza e della sua onestá, e della prudenza e del valore, avvenne che il re de? mussitani, non guari lontano da Cartagine, venne in disiderio d?averla per moglie; e, fatti alcuno de? principi di Cartagine chiamare, la dimandò loro per moglie, affermando, se data non gli fosse, esso disfarebbe

?uccise. La quale opinione per reverenza di Virgilio io approverei, se il tempo nol contrariasse. Assai manifesta cosa è, Enea, il settimo anno dopo il disfacimento di Troia, esser venuto, secondo Virgilio, a Didone: e Troia fu distrutta l?anno del mondo, secondo Eusebio, quattromilaventi. E il detto Eusebio scrive essere opinione d?alcuni, Cartagine essere stata fatta da Carcedone tirio: e altri dicono, Tidadidone sua figliuola, dopo Troia disfatta, centoquarantatrè anni, che fu l?anno del mondo quattromilacentosessantatré. E in altra parte scrive essere stata fatta da Didone l?anno del mondo quattromilacentoottantasei. E ancora appresso, senza n

a differenza di piú altre Cleopatre che furono, delle quali alcuna non ne fu, per

ue Cleopatra reina, e in istato tranquillo, in tutte quelle lascivie si diede che dar si possa disonesta femmina: e, disiderosa di ragunar tesori e gioie, quasi di tutti i re orientali disonestamente divenne amica. Né le fu questo assai, ma tutti i templi d?Egitto e le sagre case spogliò di vasellamenti, di statue e di tesori. Apresso questo, essendo giá stato ucciso Cesare, e Bruto e Cassio vinti da Ottaviano e da Antonio, al detto Antonio, vegnente in Siria, si fece incontro in forma d?onorario: e lui, non altrimenti che Cesare aveva fatto, prese e inretí del suo amore, e lui indusse innanzi ad ogni altra cosa, accioché senza alcuna suspizione del regno rimanesse, a fare uccidere Arsinoe, sua sirocchia, non ostante che essa per sua salute rifuggita fosse nel tempio di Diana efesia. E, avendo giá invescato nella sua dilezione Antonio, ardí di chiedergli il reame di Siria e d?Arabia, li quali col suo terminavano. La qual domanda parendo troppo grande ad Antonio, non gliele diede, ma, per soddisfarla alquanto, le diede di ciascuno alcuna particella. Poi, avendo ella accompagnato Antonio, il quale andava in Partia, infino al fiume d?Eufrate, e tornandosene, ne venne per Siria, dove magnificamente fu ricevuta da Erode, re poco davanti per opera d?Antonio stato coronato di quel reame: lá dove ella non dubitò di fare per interposita persona tentare Erode della sua dimestichezza, sperando, se a quella il potesse inducere, di dovergli sottrarre il reame di Siria. Di che accorgendosi Erode, per levare da dosso ad Antonio l?ignominia di costei, diliberò d?ucciderla; ma, dagli amici da ciò ritratto, donatole grandissimi doni, la lasciò tornare in Egitto. Dove dopo alquanto ricevuto Antonio, il quale in fuga da? parti s?era tornato, essendo in lei l?ardor cresciuto del signoreggiare, fu di tanta presunzione, che ella gli chiese lo imperio di Roma, e Antonio fu tanto bestiale che egli gliele promise. Ed essendo giá alcuna cagione nata di guer

si quelle in capo, mise in festa e in trastullo Antonio, e tanto procedette col trastullo della festa, che ella lo ?nvitò a dover bere le loro ghirlande, e messe i fiori di quelle in un nappo, dove era quello, o vino o altro, che ber si dovea: e, volendolo Antonio bere, ella il ritenne, e vietò che nol bevesse, e disse:-Antonio amantissimo a me, io son quella Cleopatra, la quale con queste tue disusate pregustazioni tu mostri d?aver sospetta: e però, se io potessi sofferire che tu bevessi quello di che

libro della sua Iliade dimostra, là dove, lei piagnendo sopra il morto corpo di Ettore, fa dire quasi queste parole, che, essendo ella stata venti anni appo Priamo e? figliuoli, mai Ettore non le avea detta una ingiuriosa parola. è il vero che di questi venti anni non fu l?assedio continuato intorno ad Ilione, se non i dieci ultimi anni: e però si può intendere li dieci primi essersi consumati e

tto il viso, e l?affabilitá, e il celeste riso, e i movimenti vari della faccia, e la decenza delle parole, e la qualitá degli atti? Il che adoperare è solamente oficio della natura. E, percioché queste cose erano in lei esquisite, né vedeano i poeti a ciò poter bastare la penna loro, la finsero figliuola di Giove, accioché per questa divinitá ne desser cagione di meditare qual dovesse essere il fulgore degli occhi suoi, quale il candore del mirabile viso, quanta e quale la volantile e aurea chioma, da questa parte e da quella con vezzosi cincinnuli sopra gli candidi ómeri ricadente; quanta fosse la soavitá della dolce e sonora voce, e ancora certi atti della bocca vermiglia e della splendida fronte e della gola d?avorio, e le delizie del virginal petto, con le altre parti nascose da? vestimenti. Da questa tanto ragguardevole bellezza fu Teseo, figliuolo d?Egeo, re d?Atene, tirato in Oebalia a doverla rapire: la quale esso trovata giucare, secondo il lor costume, nella palestra con gli altri fanciulli di sua etá, conosciutala la rapí, e portonnela ad Atene: e quantunque per la troppo tenera etá altro che alcun bascio t?rre non le potesse, pure alquanto maculò la virginale onestá. Qui si può muovere un dubbio, conciosiacosaché tutti gli antichi scrittori a questo s?accordino, che Teseo prima, e poi Paris, la rapissono. Come questo debba poter esser stato, ecc. Fu nondimeno poi costei da Elettra, madre di Teseo, non essendo Teseo in Atene, renduta a Castore e a Polluce, suoi fratelli, raddomandantila. Altri dicono che Teseo l?avea raccomandata a Proteo, re d?Egitto, e che esso in assenza di Teseo l?aveva renduta a? fratelli. Poi appresso, essendo pervenuta ad etá matura, fu maritata a Menelao, re di Lacedemonia, e dopo alquanto tempo, essendo esso andato in Creti, fu da Paris troiano rapita di Lacedemonia e por

contro a Paris e agli altri che nel tempio d?Apollo timbreo l?assalirono e uccisono; nel quale Ecub

z.

fanciullo senza barba, nascosamente della spelonca di Chirone il trasse, e portonnelo in una isola chiamata Sciro, dove regnava un re chiamato Licomede: e con vestimenti femminili, avendolo ammaestrato che a niuna persona manifestasse sé esser maschio, quasi come fosse una vergine, gliele diede che il guardasse tra le figliuole. Ma questo non potè lungamente essere occulto a Deidamia, figliuola di Licomede, cioè che egli fosse maschio: col quale essa, preso tempo atto a ciò, si giacque; e per la comoditá, la quale avea di questo suo piacere, ad alcuna persona non manifestava quello essere che essa avea conosciuto. E tanto continovò la lor dimestichezza, che essa di lui concepette un figliuolo, il quale poi chiamaron Pirro. Ma, poi che i greci ebbero tutti fatta congiurazione contro a? troiani, avendo per risponso avuto non potersi Troia prendere senza Achille, messisi ad investigare di lui, con la sagacitá d?Ulisse fu trovato e menato a Troia: dove andando, prese piú cittá di nemici e grandissima preda, e una figliuola del sacerdote d?Apolline, la qual donò ad Agamennone, e un?altra, che presa n?avea, chiamata Briseida, guardò per sé. Ed essendo convenuto, per risponsi degl?iddii, che Agamennone avesse la sua restituita al padre, tolse Briseida ad Achille: della qual cosa turbato Achille, non si poteva fare, né per prieghi né per consiglio, che egli volesse combat

morava, avvenne che Peleo menò per moglie Teti, e alle sue nozze invitò Giunone, Pallade e Venere. Di che gravandosi la dea della discordia, che essa non v?era stata chiamata, preso un pomo d?oro, vi scrisse sú che fosse dato alla piú degna, e gittollo sopra la mensa, alla quale esse sedevano. Di che, lette le lettere, ciascuna delle tre dèe diceva a lei, sí come a piú degna, doversi il detto pomo. Ed essendo tra loro la quistione grande, andarono per lo giudicio a Giove, il quale Giove non volle dare, ma disse loro:-Andate in Ida, e quivi è un giustissimo uomo chiamato Paris; quegli giudicherá qual di voi ne sia piú degna.-Per la qual cosa le tre dèe andarono nella selva, e trovarono Paris in una parte di quella chiamata Mesaulon, e quivi proposero davanti a lui la lor quistione, dicendo Giunone:-Io sono dea de? regni: se tu dirai me piú degna di queste altre di questo pomo, io ti farò signore di molti.-D?altra parte diceva Pallade:-Io sono dea della sapienza: se tu il dái a me, io ti farò tutte le cose cognoscere e sapere.-Venere similemente diceva:-Io sono dea d?amore: se tu dai, come a piú degna, il pomo a me, io ti farò avere l?amore e la grazia della piú bella donna del mondo.-Le quali udite da Paris, dopo alcuna diliberazione, egli diede il pomo a Venere, sí come a piú degna. Per la qual cosa, come appresso si dirá, egli ebbe Elena. Fu costui, secondo che Servio dice essere stato da Nerone r

s Spartam expugna

di Venere: la quale in Troia menatane, vi portò quella facellina, la quale Ecuba, essendo gravida in lui, avea nel sonno veduta che tutta Troia ardea. Adunque per questa rapin

poi: ?Tr

a reina Isotta, moglie del re Marco, suo zio, per la qual cosa fu fedito dal re Marco d?un dardo avvelenato. Laonde vedendosi morire, ed essendo la reina andata a visitarlo, l?abbracciò, e con tanta forza se la strinse

oi chiamiamo ?iperbole?; ?Ch?amor?, cioè quella libidinosa passione, la qual noi volgarmente chiamiamo ?amore?,

degni, non di loro, che dalla giustizia son puniti, ma di noi medesimi dobbiamo aver pietá, e dover temere di non dovere in quella dannazione pervenire, e compugnerci ed affliggerci, accioché tal meditazione ci sospinga a quelle cose adoperare, le quali di tal pericolo ne tragghino e dirizzinci in via di salute. E usa l?autore di mostrare di sentire alcuna passione, quando maggiore e quando minore, in ciascun luogo: e quasi dove alcun peccato si punisce, del quale esso conosca se medesimo peccatore. E, avuta questa passi

re in questa guisa:-?O anime affannate?, dal tormento e dalla noia di qu

la qual di sopra disse che andavano per quello aere a guisa che volano i grú; ?A noi venendo per l?aer maligno?, quanto è a loro che quivi tormentati erano: ?Sí forte?, cioè sí potente, ?fu l?affettuoso grido?, cioè priego (non si dee credere che l?autor gridasse). E venuti disson cosí:-?O animal grazioso e benigno?, chiamanlo per ciò ?grazioso e benigno?, perché benignamente pregò; il che laggiú non suole avvenire, anzi vi si usa per li ministri della divina giustizia rigidamente comandare: ?Che visitando vai per l?aer perso?, cioè oscuro, ?Noi, che tignemmo ?l mondo di sa

z.

do per genero piú tosto che alcuno de? suoi frategli. E, conoscendo quello, che il suo amico gli ragionava, dover poter avvenire, ordinò segretamente che cosí si facesse, come l?amico suo l?avea consigliato. Per che, al tempo dato, venne in Ravenna Polo, fratello di Gianciotto, con pieno mandato ad isposare madonna Francesca. Era Polo bello e piacevole uomo e costumato molto; e, andando con altri gentiliuomini per la corte dell?abitazione di messer Guido, fu da una damigella di lá entro, che il conoscea, dimostrato da un pertugio d?una finestra a madonna Francesca, dicendole:-Madonna, quegli è colui che dee esser vostro marito;-e cosí si credea la buona femmina; di che madonna Francesca incontanente in lui pose l?animo e l?amor suo. E fatto poi artificiosamente il contratto delle sponsalizie, e andatane la donna a Rimino, non s?avvide prima dell?inganno, che essa vide la mattina seguente al dí delle nozze levare da lato a sé Gianciotto: di che si dee credere che ella, vedendosi ingannata, sdegnasse, né perciò rimovesse dell?animo suo l?amore giá postovi verso Polo. Col quale come ella poi si giugnesse, mai non udii dire, se non quello che l?autore ne scrive; il che possibile è che cosí fosse. Ma io credo quello essere piú tosto fizione formata sopra quello che era possibile ad essere avvenuto, ché io non credo che l?autore sapesse che cosí fosse. E perseverando Polo e madonna Francesca in questa dimestichezza, ed essendo Gianciotto andato in alcuna terra vicina per podestá, quasi senza alcun sospetto insieme cominciarono ad usare. Della qual cosa avvedutosi un singulare servidore di Gianciotto, andò a lui, e raccontògli ciò che della bisogna sapea, promettendogli, quando volesse, di fargliele toccar

ioni appare che essa giá fosse in sul mare; ?dove ?l Po discende?. Nasce il Po nelle montagne che dividono Italia dalla Provenza, e, discendendo giú verso il mare Adriano, per trenta grossi fiumi, che da Appennino e dall?Alpi discendono, diventa grossissimo fiume, e tra Mantova e Ferrara si divide in due parti, delle quali l?una ne va verso Ferrara, e l?altra ad una villa d

o di questo volume, nel canto diciassettesimo; nondimeno, per alcuna piccola dichiarazione alle parole che costei dice, alcuna cosa qui ne scriverò. Piace ad Aristotile esser tre spezie d?amore, cioè amore onesto, amore dilettevole e amore utile: e quell?amore, del quale qui si fa menzione, è amor dilettevole. E perci

aelo super

alsis habi

oebus pecor

tum, posit

uros cala

mas quotie

aelum nebul

es modo mov

a, avere questa cotale participazione a concedere a colui che nasce una disposizione atta agl?innamoramenti e alle fornicazioni. La quale attitudine ha ad adoperare che, cosí tosto come questo cotal vede alcuna femmina, la quale da? sensi esteriori sia commendata, incontanente quello, che di questa femmina piace, è portato alle virtú sensitive interiori, e questo primieramente diviene alla fantasia, e da questa è mandato alla virtú cogitativa, e da quella alla memorativa; e poi da queste virtú sensitive è trasportato a quella spezie di virtú, la quale è piú nobile intra le virtú apprensive, cioè all?intelletto possibile; percioché questo è il ricettacolo delle spezie, sí come Aristotile scrive in libro De anima. Quivi, cioè in questo intelletto possibile, cognosciuto e inteso quello che, come di sopra è detto, portato v?è, se egli avviene che per volontá di colui, nel quale è questa passione (c

ui intendere quel che dice ?al cor gentil?, cioè flessibile, sí come quello che era nato atto a ricevere quella passione: ?ratto s?apprende?, cioè prestamente v?è dentro ricevuta e ritenuta: ?Prese costui?, cioè Polo, il q

z.

tore, non avviene di questa spezie d?amore, ma avvien bene dell?amore onesto, c

m

rtú, sempre

iamma sua pa

umi e le maniere dell?amante conformi alle sue, incontanente si dichinerá a doverlo cosí amare, come ella è amata da lui; cosí non perdonerá l?amore all?amato, cioè ch?egli non faccia che questo amato ami chi ama lui. ?Mi prese del costui piacer?, cioè del piacere di costui, o del piacere a costui: in che generalmente si sforza ciascun che ama di piacere

it sese, atque

erum, coniux ub

aequatque Sich

n compagnia del suo amante.] ?Amor condusse noi ad una morte?: cioè ad essere uccisi insieme e in un punto. ?Caina attende?: Caina è una parte del nono cerchio del presente libro, cosí chiamata da Caino figliuolo d?Adamo, il quale peroché uccise il fratello carnale, mostra di sentire l?autore che egli sia in quel cerchio dannato: e, percioché egli fu il primo che cotal pecca

lor ci f?r pòrte?, cioè da madonna

Chinai ?l viso?, come colui fa, il quale ha udita cosa che gli grava, ?e tanto il tenni bass

ci sospiri paiono esser quegli che da speranza certa muovono di dovere ottenere la cosa che s?ama: ?

rando, ?A che? segno, ?e come?, cioè in qual guisa, ?concedette Amore?, il quale suol rendere gli amanti temorosi e non lasciar loro, per téma di non dispiacere, aprire il disiderio loro, ?Che conosceste?, cioè tu di Polo, e Polo di te, ?i dubbios

ssi pervenissero; e cosí vorrá qui l?autore che il principio s?intenda per la fine: ?Del nostro amor tu hai cotanto affetto?, cioè tanto disiderio, ?Farò come colei che piange e dice. Noi?, cioè Polo ed io, ?leggevamo un giorno per diletto Di Lancellotto?, del quale molte belle e laudevoli cose raccontano i romanzi franceschi; cose, per quel ch?io creda, piú composte a beneplacito che secondo la veritá: e leggevamo ?come amor lo strinse?; percioché ne? detti romanzi si scrive Lancellotto essere stato ferventissimamente innamorato della reina Ginevra, moglie del re Artú. ?Soli eravamo e senza alcun sospetto?. Scrive l?autore tre cose, ciascuna per se medesima potente ad inducere a disonestamente adoperare un uomo e una femmina che insieme sieno: cioè leggere gli amori d?alcuni, l?esser soli e l?esser senza sospetto d?alcuno impedimento. ?Per piú fiate gli occhi ci sospinse?, a riguardar l?un l?

dí in una sala a ragionamento seco la reina Ginevra, e a quello chiamato Lancellotto, ad aprire questo amore con alcuno effetto fu il mezzano: e, quasi occupando con la persona il poter questi due esser veduti da alcuno altro della sala che da lui, fece che essi si baciarono insieme. E cosí vuol questa donna dire che quello libro, il quale leggevano Polo ed ella, quello uficio adoperasse

i le forze, ?sí com?io morisse, E caddi come corpo morto cade?. Suole alcuna volta avere tanta forza la compassione, che pare ch?ella faccia cosí altrui struggere il cuore, come si strugge la neve al fuoco; di che avviene che le forze sensibili si dileguano, e l?animali rifuggono nelle piú intrinseche parti del cuore, quasi abbandonato: e cosí il corpo, destituto dal suo s

Claim Your Bonus at the APP

Open